Cnr, l’inquinamento fa più male con la nebbia: il caso della Val Padana

«Può agire come un reattore in grado di modificare le caratteristiche di tossicità delle sostanze chimiche contenute nel particolato atmosferico (PM)»

[23 Febbraio 2018]

L’inquinamento atmosferico in Val Padana continua ad essere una minaccia di primo piano: come testimonia l’ultimo rapporto Mal’aria di Legambiente, nel 2017 in 39 capoluoghi di provincia italiani è stato superato (almeno in una stazione ufficiale di monitoraggio della qualità dell’aria di tipo urbano) il limite annuale per le polveri sottili di 35 giorni, con una media giornaliera superiore a 50 microgrammi/metro cubo. Di questi 39 capoluoghi, 31 fanno parte proprio di quelle Regioni che compongono la Val Padana. Una situazione dove a mettere in guardia sulle ricadute in termini di salute è la stessa Organizzazione mondiale della sanità, e all’interno della quale – documenta adesso una nuova ricerca condotta dal Cnr di Bologna insieme all’University of Southern California, e pubblicata su Atmospheric Chemistry and Physics – esercita un ruolo anche la presenza della nebbia.

Nell’aerea della Val Padana nei mesi invernali, che sono quelli più critici per quanto riguarda l’inquinamento da particolato atmosferico (PM), si formano estese coltri di nebbia nei bassi strati dell’atmosfera, che finiscono – spiegano dal Cnr – per influenzare concentrazioni e caratteristiche del PM. «Le goccioline di nebbia catturano particelle di aerosol, provocandone in parte la deposizione, in parte modificandone la composizione chimica, per poi rilasciarle in atmosfera, quando la nebbia si dissipa – precisa Stefano Decesari dell’Isac-Cnr – La nebbia può quindi agire come un reattore in grado di modificare le caratteristiche di tossicità delle sostanze chimiche contenute nel particolato atmosferico (PM), compresi molti inquinanti».

«Da indagini tossicologiche condotte in vitro allo scopo di analizzare lo stress ossidativo in cellule di tessuto polmonare (macrofagi) esposte a estratti di campioni di PM e di acqua di nebbia prelevati presso una stazione rurale della Val Padana è emerso – argomenta il ricercatore – come il potenziale ossidativo (che si ritiene essere responsabile di importanti danni biologici ed associato a numerose patologie croniche) delle sostanze presenti nelle goccioline di nebbia sia più che raddoppiato rispetto a quello delle particelle di PM su cui le stesse goccioline si sono formate. Questo dimostra come le reazioni chimiche che avvengono in nebbia possono condurre a un’amplificazione delle caratteristiche di tossicità dell’aerosol atmosferico. La diminuzione storica della frequenza di nebbia verificatasi negli ultimi trent’anni nelle regioni del bacino padano potrebbe quindi aver portato a un miglioramento della qualità dell’aria di questi territori, confermando il complesso legame che intercorre tra cambiamenti del clima e inquinamento atmosferico».