I lockdown in Cina e in Europa hanno evitato decine di migliaia di morti premature per inquinamento atmosferico

L’impatto "positivo" è però stato molto più alto in Cina che in Europa

[21 Ottobre 2020]

Secondo lo studioShort-term and long-term health impacts of air pollution reductions from COVID-19 lockdowns in China and Europe: a modelling study”, pubblicato su The Lancet Planetary Health da un team di ricercatori guidato da Paolo Giani, dell’università statunitense di Notre Dame, e del  quale faceva parte anche Alessandro Anav del Centro di Ricerche Casaccia dell’Enea, «i lockdown iniziati per frenare la diffusione del coronavirus in Cina e in Europa all’inizio della pandemia hanno migliorato la qualità dell’aria, scongiurando decine di migliaia di morti nelle regioni in cui l’inquinamento atmosferico ha un impatto significativo sulla mortalità».

I ricercatori italiani e statunitensi hanno scoperto che, durante i blocchi che hanno avuto luogo tra il 1° febbraio e il 31 marzo in Cina e dal 21 febbraio al 17 maggio in Europa, in Cina le concentrazioni di particolato PM2.5 hanno avuto una diminuzione record del 29,7% e in alcune aree dell’Europa del 17,1% in alcune parti d’Europa.

Una delle autrici dello studio, Paola Crippa del Department of civil and environmental engineering and Earth sciences dell’università di Notre Dame, sottolinea: «Consideriamo questi lockdown come il primo esperimento globale di scenari low-emission forzati. Questo esperimento unico nel mondo reale ci dimostra che, se vengono attuate misure forti, è possibile ottenere forti miglioramenti in aree gravemente inquinate anche a breve termine».

Proprio oggi lo State of Global Air 2020 Report conferma che l’inquinamento atmosferico è la principale causa ambientale di morte. Nel 2016, l’Organizzazione mondiale della sanità attribuiva all’’inquinamento atmosferico 4,2 milioni di morti premature in tutto il mondo, ora siamo a 6,7 milioni.

La Crippa, Giani e il loro team di ricerca – che comprende anche Stefano Castruccio, Don Howard e Wenjing Hu – hanno integrato simulazioni al computer avanzate con le concentrazioni di particolato misurate in più di 2.500 siti in Europa e Cina tra il 1° gennaio 2016 e il 30 giugno 20200. I ricercatori hanno anche stimato i tassi di morte prematura rispetto a 4 diversi scenari di ripresa economica: una ripresa immediata delle normali attività e delle emissioni, una ripresa graduale con un aumento proporzionale delle emissioni in tre mesi, un potenziale secondo focolaio di Covid-19 tra ottobre e dicembre (quello che purtroppo sta accadendo in Europa e in altre parti del mondo), il blocco permanente per il resto del 2020 in caso di strategie di controllo inefficaci.

Crippa spiega che «la parte più sorprendente di questo lavoro è legata all’impatto sulla salute umana dei miglioramenti della qualità dell’aria. In qualche modo, è stato inaspettato vedere che il numero di vittime evitate a lungo termine grazie ai miglioramenti della qualità dell’aria è simile a quello delle vittime legate al Covid-19, almeno in Cina, dove è stato segnalato un piccolo numero di vittime del Covid-19. Questi risultati sottolineano la gravità dei problemi di qualità dell’aria in alcune aree del mondo e la necessità di un’azione immediata».

Infatti, lo studio ha rilevato che, rispetto ai 3.309 morti per Covid-19 segnalati in Cina  da febbraio a marzo, sono state evitate circa 24.200 morti premature associate al particolato, e che «i miglioramenti della qualità dell’aria sono stati diffusi in tutta la Cina grazie alle misure di lockdown estese».

La situazione in Europa è molto diversa: «Sebbene i decessi correlati al Covid-19 in Europa siano stati molto più alti (ad oggi 258.195, ndr) rispetto a quanto riportato in Cina, si stima che siano stati comunque evitati 2.190 decessi durante il periodo di blocco rispetto alle medie tra il 2016 e il 2019». Insomma, in Europa il Covid-19 ha provocato comunque molte più morti premature di quelle che avrebbe fatto l’inquinamento da particolato evitato col lockdown.

I ricercatori fanno però notare che «i numeri delle vittime evitate diventano molto più grandi (fino a 287.000 in Cina e 29.500 in Europa) se si considerano gli effetti a lungo termine, che dipenderanno dal percorso futuro della ripresa economica».

Crippa è convinta che lo studio possa servire da esempio «della necessità di sviluppare politiche di controllo ad hoc per ottenere miglioramenti efficaci della qualità dell’aria, ha affermato Crippa, ed evidenzia la questione della percezione del rischio tra l’attuale crisi immediata della pandemia di coronavirus e la crisi in corso di inquinanti pericolosi. nell’atmosfera. In Cina, abbiamo visto che i blocchi implicavano riduzioni molto significative delle concentrazioni di PM2,5, il che significa che in futuro delle politiche mirate alle emissioni industriali e da traffico potrebbero essere molto efficaci. In Europa queste riduzioni sono state leggermente inferiori ma c’è stato comunque un effetto significativo, suggerendo che altri fattori potrebbero dover essere presi in considerazione per modellare un’efficace strategia di mitigazione».

All’università di Notre Dame dicono che queste  strategie potrebbero comprendere «sussidi ai veicoli elettrici, dare la priorità al trasporto pubblico nelle città con traffico elevato e l’adozione di limiti di emissione più rigorosi per le industrie. Anche le emissioni del riscaldamento e dell’agricoltura contribuiscono alle concentrazioni totali di particolato».

Nello studio, i ricercatori hanno evidenziato che strategie di mitigazione aggressive per ridurre l’inquinamento atmosferico potrebbero ottenere miglioramenti significativi per la salute, e concludono: «Se gli interventi su una scala simile a quelli adottati per affrontare la pandemia di Covid-19 fossero ampiamente e sistematicamente adottati, potrebbero essere raggiunti progressi sostanziali verso la risoluzione della più urgente crisi ambientale e sanitaria del nostro tempo».