L’esposizione al particolato fine può aumentare la mortalità tra i giovani pazienti con determinati tipi di cancro

Negli usa aumento del tasso di mortalità nei 5 – 10 anni dopo la diagnosi nelle aree con maggior inquinamento da PM2.5

[13 Maggio 2020]

Secondo lo studio “Fine Particulate Matter Air Pollution and Mortality among Pediatric, Adolescent, and Young Adult Cancer Patients”, pubblicato su Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention, un giornae dell’American Association for Cancer Research, da un team dell’università dell’Utah – Salt Lake City, e basato su l’analisi di quasi 16.000 giovani pazienti affetti da cancro nello Utah, «L’esposizione al particolato fine è stata associata ad un aumento della mortalità tra i 5 e i 10 anni dopo la diagnosi di alcuni tumori».

La principale autrice dello studio Judy Ou, dell’Huntsman Cancer Institute dell’università dello Utah – Salt Lake City, sottolinea che «Si stima che circa il 40% degli americani viva in comunità con livelli malsani di inquinamento atmosferico. Attualmente, non esistono linee guida per i sopravvissuti al cancro a lungo termine che consigliano di ridurre l’esposizione all’inquinamento atmosferico, né i pazienti oncologici sono considerati una popolazione vulnerabile alla mortalità o alle malattie derivanti dall’inquinamento atmosferico. I nostri risultati suggeriscono che limitare l’esposizione al particolato fine può essere importante per la sopravvivenza di pazienti oncologici più giovani con tumori specifici».

Studi precedenti hanno già dimostrato associazioni tra una maggiore esposizione al particolato fine – PM2,5 micrometri – e mortalità tra i pazienti adulti per cancro al seno, fegato e polmone, ma Ou  spiega che la biologia dei tumori nei pazienti giovani differisce potenzialmente dai tumori negli adulti  e «Poiché le associazioni osservate tra l’esposizione al particolato fine e l’aumento della mortalità per cancro negli adulti non possono essere facilmente estrapolate nei pazienti oncologici più giovani, abbiamo voluto studiare come l’esposizione continua al particolato fine dopo la diagnosi abbia influenzato gli esiti di sopravvivenza in questa specifica popolazione».

Utilizzando l’Utah Population Database e l’Utah Cancer Registry, Ou e i suoi colleghi hanno seguito 2.444 pazienti pediatrici (da 0 a 14 anni) e 13.459 giovani adolescenti e adulti (tra i 15 e i 39 anni) con diagnosi di cancro mentre vivevano nello Utah dal 1986 al 2015. Questi pazienti sono stati seguiti dalla diagnosi fino ai  punti temporali clinicamente rilevanti di 5 e 10 anni dopo la diagnosi.

All’American Association for Cancer Research evidenziano che «Per stimare l’esposizione cumulativa al particolato fine, i ricercatori hanno utilizzato i dati forniti dalle centraline fisse  dell’Environmental Protection Agency (EPA). Utilizzando queste informazioni, i ricercatori hanno potuto modellare l’associazione tra esposizione cumulativa e mortalità da cancro e tutte le cause». L’esposizione al particolato fine è stata misurata continuamente, per categorie di superamento dei limiti  e sulla base della media triennale della concentrazione media annua di particolato fine. I modelli sono stati adattati anche secondo sesso, appartenenza etnica e status socioeconomico.

Il risultato è che tra i pazienti pediatrici, gli adolescenti e i giovani adulti l’esposizione al particolato fine è stata associata ad un aumento del rischio di morte, nel periodo di 5 – 10 anni dopo la diagnosi, linfomi, cancri del sistema nervoso, leucemie linfoidi, tumori epatici, melanomi cutanei, carcinomi.

La Ou conclude: «L’esposizione all’inquinamento atmosferico è, in qualche misura, prevenibile a livello individuale ma, in ultima analisi, la responsabilità di proteggere la popolazione da questo grave rischio per la salute è della politica governativa. Abbiamo bisogno che i pazienti e chi si prende cura di loro diventino sostenitori informati per chiedere sostenere l’applicazione delle politiche sulla qualità dell’aria a livello locale, statale e federale».