L’impatto del traffico sull’inquinamento atmosferico, spiegato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente

Le emissioni dai tubi di scappamento sono in riduzione, ma ci sono anche quelle da usura di freni, pneumatici e asfalto

[23 Gennaio 2020]

Durante gli episodi acuti di inquinamento atmosferico si discute spesso di quale sia il principale responsabile del problema: è il traffico la prima sorgente inquinante? Non è invece il riscaldamento, visto che per il PM10 i massimi si registrano in genere nella stagione invernale? Sulla salubrità dell’aria incidono forse di più le emissioni industriali o quelle del comparto zootecnico?

Le statistiche che si sentono citare in questi casi sono spesso molto diverse a seconda di quale inquinante si parli, di quale zona si prenda a riferimento (la città oppure la regione, ad esempio), o anche se si valutano i dati di emissione o i risultati di studi basati sulla ricerca di traccianti delle diverse sorgenti nei campioni raccolti.

In generale, in Italia, è il traffico la prima sorgente di ossidi di azoto, sia che si parli del livello nazionale, del livello regionale o di quello urbano. Se in Italia, secondo ISPRA (Informative Inventory Report 2019), il settore trasporti rappresenta il 46%  delle emissioni di NOx, nel bacino padano (secondo i dati del progetto Life PREPAIR) il contributo sale al 50%, fino (secondo i dati di INEMAR) al 54% in Lombardia ed al 70% nella città di Milano. Effettivamente, questo dato è confermato dalle misure: le massime concentrazioni di NO2 si registrano in generale nelle stazioni da traffico. Va peraltro sottolineato che, con il rinnovo del parco circolante, le emissioni di ossidi di azoto dai veicoli a benzina sono progressivamente scese negli anni. Più sofferta la storia per i diesel: la riduzione prevista in fase di omologazione non si è purtroppo rilevata effettiva su strada, almeno fino alle più recenti categorie (euro 6d temp ed euro 6d), che paiono invece essere effettivamente promettenti anche nel mondo reale. Le emissioni di questo comparto sono quindi oggi in gran parte dovute alle emissioni dei veicoli diesel leggeri, ma anche – soprattutto sulle strade extraurbane e sulle autostrade – dai veicoli pesanti.

La valutazione dell’impatto del traffico sul particolato è più difficile. Il PM10, come il PM2.5, è infatti in parte emesso in atmosfera già sottoforma di particelle (il cosiddetto “PM10 primario”), ma si forma anche in atmosfera (“PM10 secondario”) a partire da altre sostane quali – tra l’altro – gli ossidi di azoto e l’ammoniaca (quest’ultima, almeno nel bacino padano, in gran parte di origine agricola e zootecnica). La prima fonte del PM10 primario in Italia, così come nel bacino padano e in Lombardia, risulta essere la combustione della legna. Nelle città però, con una minore presenza degli apparecchi a legna e una maggiore densità di traffico, il contributo principale ritorna a essere il settore trasporti su strada che, ad esempio, a Milano è responsabile del 45% delle emissioni di PM10 primario. Si deve al proposito osservare che le emissioni dirette, dai tubi di scappamento, sono in progressiva riduzione: i veicoli a benzina e i veicoli diesel con filtro antiparticolato emettono ormai pochi milligrammi al chilometro. Contribuiscono ancora alle emissioni da traffico gli scarichi dei veicoli diesel non dotati di filtro antiparticolato e – in misura ormai paragonabile, grazie alla riduzione progressiva di quelle dal tubo di scappamento – le emissioni da usura di freni, pneumatici e asfalto. A Milano, se le emissioni dal tubo di scappamento dei veicoli diesel arrivano a circa il 21% del totale di PM10 primario, il 22% deriva dalle emissioni da usura. Va poi ricordato che nel particolato effettivamente presente in atmosfera, una percentuale non trascurabile, seppure non inclusa negli inventari di emissione in quanto non emessa direttamente, è dovuta al risollevamento di materiale terrigeno sempre indotto, in gran parte, dalla circolazione dei veicoli.

In conclusione, il traffico, nonostante il progressivo miglioramento, rimane ancora una delle principali – se non la principale – fonte di inquinamento atmosferico, in particolare nelle città, sia per il contributo alle emissioni di ossidi di azoto (che, oltre al superamento dei livelli di NO2, portano in atmosfera alla formazione di PM10 e, durante l’estate, di ozono) sia per le emissioni dirette di PM10 primario. Le emissioni dal tubo di scappamento dovrebbero progressivamente ridursi nei prossimi anni, grazie al rinnovo del parco circolante, con la diffusione dei veicoli euro 6 di ultima generazione e, auspicabilmente, dei veicoli elettrici. Sarà però comunque importante perseguire la riduzione dei chilometri percorsi in auto, in relazione alla lotta ai cambiamenti climatici ma anche, per la qualità dell’aria, all’usura di freni, pneumatici e asfalto oltre che al risollevamento di materiale terrigeno. D’altra parte, per proseguire nel miglioramento della qualità dell’aria fino al completo rispetto degli standard di legge e, in prospettiva, dei valori suggeriti dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, è necessario continuare anche nella riduzione delle emissioni dagli altri settori: dal comparto riscaldamento – per la legna in relazione al PM10, ma anche al Benzo(a)pirene – al settore agricolo e zootecnico – in particolare per l’ammoniaca – e a comparto industriale, ancora rilevante in generale per gli ossidi di azoto e, localmente, in maniera diversificata a seconda del contesto.

di Snpa – Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente