Marea nera a Mauritius, dopo il danno la beffa degli scarsi risarcimenti per un gigantesco disastro

Unctad: una vicenda che punta i riflettori sull'inquinamento delle navi. i diversi tipi di navi sono soggetti a diverse convenzioni legali internazionali

[21 Agosto 2020]

Il disastro navale di Mauritius  ricorda a tutti che i piccoli Stati insulari stanno affrontando una minaccia per la loro stessa esistenza e per il loro  sviluppo a causa dell’inquinamento provocato dalle navi, che mette in pericolo i loro ecosistemi marini vulnerabili e le economie oceaniche. Solo un diritto internazionale più efficace può venire in loro aiuto

I piccoli Stati insulari e costieri sono spesso vicini alle grandi rotte marittime mondial e sono particolarmente a rischio di fuoriuscite di petrolio. Dato che la loro economia turistica si basa sull’ambiente marino, così come la pesca e l’acquacoltura, gli isolani sono tra i più colpiti dagli incidenti navali e dalle maree nere. Per questo la crisi ambientale in corso a Mauritius è motivo di grave preoccupazione e il nuovo briefing “Mauritius oil spill highlights importance of adopting latest international legal instruments in the field” di Regina Asariotis and Anila Premti,dell’United Nations conference on trade and devlopment (Unctad) mette a fuoco la necessità di cambiare il quadro giuridico internazionale per fornire supporto quando si verificano disastri ambientali causati dalle navi .

L’Unctad ricorda che «I mari e il loro utilizzo sono regolati da numerose convenzioni internazionali. Ma alcune non sono state ratificate da tutti i Paesi che potrebbero trarne vantaggio, e altre devono ancora entrare in vigore». Questo crea non pochi problemi e molta confusione quando si verificano fuoriuscite di idrocarburi, a seconda dei tipi di navi responsabili dell’inquinamento e se hanno sottoscritto le convenzioni esistenti, non tutte le parti hanno la stessa responsabilità e possono chiedere risarcimenti,

“È necessaria la partecipazione universale al quadro giuridico internazionale esistente, in cui tutte le nazioni sono parte di accordi, quindi quando si verificano incidenti come questo, i paesi vulnerabili sono protetti”, ha affermato.

Shamika N. Sirimanne, direttrice tecnologia e logistica dell’Unctad, ha sottolineato che «Questi sversamenti di petrolio preannunciano conseguenze ambientali e socio-economiche negative per i Paesi in via di sviluppo, in particolare i piccoli stati insulari in via di sviluppo (SIDS). L’Obiettivo di sviluppo sostenibile 14 ci invita a proteggere la vita sott’acqua e questo significa ridurre al minimo l’inquinamento in ogni momento possibile, compresa la messa in atto di tutte le precauzioni necessarie per gestire i disastri ambientali quando si verificano».

Il problema che sta emergendo anche a Mauritius e che i diversi tipi di navi sono soggetti a diverse convenzioni legali internazionali. Il rapporto pubblicato dall’UNCTAD Transport and Trade Facilitation Newsletter mette in fila tutta la legislazione recente e applicabile che si dovrebbe applicare alla marea nera di Mauritius «sulla base del fatto che, fin seguito alla fuoriuscita, la responsabilità e il risarcimento saranno fondamentali su due fronti: economico e ambientale».

Il grosso problema nel caso Mauritius è che la legislazione che fornirebbe un risarcimento maggiore alla nazione insulare non può essere applicata, perché la nave giapponese battente bandiera panamente che è naufragata è una portarinfuse, non una petroliera.

L’inquinamento da petroliere è disciplinato da una convenzione diversa da quella delle navi portarinfuse, che è coperta dalla International Convention on Civil Liability for Bunker Oil Pollution Damage (Bunkers Convention) e che prevede un limite finanziario minore per le responsabilità dell’armatore e che dipende anche dalle dimensioni o dalla stazza lorda della nave.

Nel caso della MV Wakashio naufragata a Mauritius, il massimo risarcimento per le perdite economiche e i costi di ripristino dell’ambiente sarebbe di circa 65,17 milioni d dollari. Se a naufragare fosse stata una petroliera, sarebbe stato applicabilie l’International Oil Pollution Compensation Funds, che avrebbe potuto fornire un risarcimento fino a 286 milioni di dollari, più di 4 volte di quello previsto dalla Bunkers Convention, e questo per Mauritius, potrebbe significare meno aiuti finanziari per ripristinare l’ambiente e l’attività economica dopo la marea nera.

Si calcola che il naufragio della MV Wakashio, che ha provocato lo sversamento in mare tra le 1.000 e le 2.000 tonnellate di olio pesante e gasolio, devastando un’area ad elevatissima biodiversità, abbia messo in pericolo l’economia, la sicurezza alimentare, la salute e l’industria del turismo da 1,6 miliardi di dollari del piccolo Paese insulare che già soffre degli effetti negativi del Covid-19.

Asariotis e Premti, concludono: «La situazione in corso a Mauritius offre un’importante opportunità per i Paesi di rivalutare se possono aver bisogno di prendere in considerazione l’adesione ai più recenti strumenti giuridici internazionali del settore. Questo include strumenti legali sulla responsabilità e il risarcimento per l’inquinamento provocato dalle navi, sia l’inquinamento da idrocarburi che altri tipi di inquinamento, ad esempio da sostanze pericolose e nocive, che possono causare danni all’ambiente marino e perdite economiche, nonché lesioni personali significative. Ad esempio, l’International Convention on Liability and Compensation for Damage in Connection with the Carriage of Hazardous and Noxious Substances by Sea, 1996, as amended by its 2010 Protocol (2010 HNS Convention),  basata sul modello delle convenzioni CLC e dei Fund Conventions (IOPC FUND regime), mira a contribuire a colmare un’importante lacuna nel quadro globale di responsabilità e risarcimento. Tuttavia, la Convenzione non è ancora entrata in vigore e gli Stati potrebbero quindi voler considerare di diventarne parte.Più in generale, la comunità internazionale può cogliere l’opportunità per considerare di rafforzare ulteriormente il quadro giuridico esistente, se è il caso, e fornire assistenza tecnica e sviluppo di capacità ai Paesi in via di sviluppo vulnerabili. Questo anche in vista dell’importanza della lotta all’inquinamento per il raggiungimento dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, in particolare dell’Obiettivo 14 sulla conservazione e l’utilizzo sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine per lo sviluppo sostenibile».