Le rinnovabili e la politica, per completare il disegno di Tina Anselmi
Oggi, 48 anni fa, il Parlamento Italiano approvava in via definitiva la Legge Anselmi, che ha eliminato sulla carta ogni discriminazione di genere nei posti di lavoro. Aggiungiamo “sulla carta” perché, senza voler sminuire il lavoro della prima donna ad aver guidato un ministero nella Repubblica italiana, sappiamo bene che la strada che divide una parità teorica a una pratica è ancora lunga, quasi mezzo secolo dopo. Lo sanno per esperienza le donne italiane, ma ce lo ricorda periodicamente l’Istat, che misura il gender pay gap, la differenza di retribuzione fra uomini e donne.
Un’opera incompiuta
Qualsiasi parametro si metta in conto (età, titolo di studio, posizione lavorativa) le donne guadagnano meno degli uomini. Un aspetto sconfortante evidenziato dall’ultimo aggiornamento Istat di questa primavera è che più si alza il livello di istruzione più il gap si apre. La differenza retributiva tra uomini e donne è infatti di circa il 5% (un euro l’ora) nella popolazione generale, ma sale al 17% fra i laureati e le laureate. A questi numeri si aggiungono quelli del part-time, spesso involontario, diffuso molto più fra le donne che fra gli uomini, e della partecipazione al mondo del lavoro in generale. Poco più della metà delle donne in età da lavoro è occupata (54%), 16 punti in meno rispetto al tasso di occupazione maschile.
Luci e ombre delle donne nelle rinnovabili
Recentemente mi è capitato di leggere un report di IRENA (International Renewable Energy Agency) che, con toni piuttosto sconfortati, raccontava la quota relativamente bassa di lavoratrici donne nei settori delle rinnovabili. Le donne costituiscono infatti appena il 32% della forza lavoro nel settore delle energie rinnovabili nel mondo, un dato che negli ultimi cinque anni è rimasto stabile. Se lo confrontiamo con l’economia generale, dove la proporzione fra uomini e donne è 57%-43%, il dato è negativo. Ma se lo confrontiamo con gli altri settori energetici, nucleare e oil&gas, dove meno di un quarto degli occupati è una donna, il settore delle rinnovabili coinvolge molte più lavoratrici. Per questo non condivido pienamente i toni del report IRENA. In un’era in cui ci si interroga tanto sugli effetti che la transizione ecologica ed energetica avrà sul mondo del lavoro, fra professioni e posizioni che nascono e altre che subiranno grandi cambiamenti, penso che possiamo salutare con soddisfazione il fatto che un’industria del futuro sia più accogliente per le lavoratrici di quanto non lo siano i settori che verranno messi ai margini dalle rinnovabili, soprattutto l’oil&gas.
La strada da fare
Ovviamente non possiamo accontentarci, anche perché scavando nei dettagli dei dati ci imbattiamo in altri problemi che conosciamo anche in Italia, ad esempio più la posizione lavorativa è prestigiosa, più è probabile che sia coperta da un uomo, e nel settore pubblico la parità è più vicina che nel settore privato. Ma come nel 1977 la legge Anselmi fu un primo passo cruciale nel lungo cammino che stiamo percorrendo verso una maggiore parità, anche la transizione energetica può essere un passaggio storico per incrementare la presenza femminile in un settore storicamente ostile alle donne. Ovviamente non basta, e servono politiche specifiche, in questo campo come in tanti altri, per azzerare le discriminazioni, offrire condizioni più flessibili per chi ha famiglia (sia ai lavoratori che alle lavoratrici), ma anche una promozione delle discipline accademiche STEM per le donne. Tutti ambiti in cui siamo indietro rispetto al resto d’Europa.