Uno studio di Enea, Cnr e università La Sapienza sull’anfipode Gammarus setosus alle Svalbard

I crostacei del Mar Artico contaminati da microplastiche, svela una ricerca italiana

Iannilli (Enea): «Il rischio di trasferimento delle microplastiche nella catena alimentare umane è rilevante»

[27 Luglio 2020]

Secondo lo studio “First evidence of microplastics ingestion in benthic amphipods from Svalbard”, pubbli cato su Science Direct, anche nel Mar Glaciale Artico, no dei luoghi considerati più incontaminati del pianeta, è allarme microplastiche.  A lanciarlo sono Valentina Iannilli dell’Enea, Fabiana Corami del Cnr e Andrea Setini e Vittorio Pasquali dell’università La Sapienza  che hanno scoperto frammenti di microplastiche nell’anfipode Gammarus setosus, un piccolo crostaceo marino di circa 3 centimetri, molto diffuso nelle acque delle isole Svalbard, all’interno del quale  sono state trovate mediamente 72,5 particelle di microplastica tra i 3 e i 370 micrometri (milionesimi di metro), la maggior parte delle quali più piccole di un trentesimo di millimetro (30 micrometri).

Al Cnr sottolineano che «L’allarme è tanto più grave perché quest’animale marino è alla base dell’alimentazione di diversi uccelli e pesci che vivono nell’area; inoltre, la maggior parte delle microplastiche studiate è costituita da polimeri sintetici di vernici e rivestimenti antivegetativi, impermeabilizzanti e anticorrosivi utilizzati sia nelle imbarcazioni che nelle attrezzature da pesca».

Le microplastiche sono state individuate grazie a specifiche metodologie di colorazione e di spettroscopia infrarossa in campioni raccolti nella fascia costiera di fronte a Ny-Ålesund, oltre il 78º parallelo nord, nell’ambito delle attività della Stazione artica “Dirigibile Italia”, una base di ricerca italiana gestita dal CNR, che prende il nome dal dirigibile protagonista delle spedizioni del generale ed esploratore Umberto Nobile e del suo equipaggio.

La Iannilli, del Laboratorio biodiversità e servizi ecosistemici dell’Enea, conclude: «Lo studio realizzato con Cnr e Sapienza dimostra che le microplastiche hanno invaso anche le terre più a Nord del pianeta e sono in grado di penetrare ogni livello dell’ecosistema, con danni agli organismi e all’ambiente ancora poco compresi. Infatti le microplastiche scambiate per cibo possono  arrivare all’apparato digerente degli animali, nei tessuti e poi nelle parti edibili dei pesci. Trattandosi di una specie molto abbondante (fino a 3000 individui al m2) il rischio di trasferimento delle microplastiche, nella catena alimentare umane è rilevante. L’utilizzo di bioindicatori come questo crostaceo è di grande importanza nel monitoraggio delle microplastiche, poiché può fornire un quadro molto più realistico della contaminazione e soprattutto indicare quanto questa contaminazione sia trasferita nella catena alimentare e possa potenzialmente arrivare anche a noi».