Il mistero delle bottiglie di plastica su Inaccessible Island

E’ improbabile che vengano dal lontanissimo continente. Scaricate in mare dalle navi asiatiche?

[2 Ottobre 2019]

Inaccessible Island, che fa parte del territorio di oltremare britannico di Saint Helena, Ascension and Tristan da Cunha, è un frammento di terra di appena 14 km2 che sorge nell’Oceano Atlantico a 45 Km dalla disabitata Gough e a migliaia di chilometri da qualsiasi continente, ma questo Patrimonio dell’umanità Unesco e Important Bird Area è pieno di plastica, una parte crescente della quale sembra non provenire da terra, ma dalle navi che scaricano i rifiuti in mare in violazione del diritto internazionale.
E’ quel che emerge dallo studio “Rapid increase in Asian bottles in the South Atlantic Ocean indicates major debris inputs from ships” pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) dai sudafricani Peter Rayan e Ben Dilley dell’università di Cape Town e Maëlle Connan della Nelson Mandela University e da Robert Ronconi del Canadian Wildlife Service, Environment and Climate Change Canada, che mette in dubbio la convinzione ampiamente diffusa che attualmente la maggior parte della plastica marina provenga da fonti terrestri.
All’università di Cape Town ricordano che «Dagli anni ’50, la produzione globale di materie plastiche è cresciuta di circa l’8% all’anno e ora ammonta a oltre 300 milioni di tonnellate all’anno. La maggior parte dei rifiuti di plastica finisce in discarica o nell’ambiente. Poiché la plastica è relativamente leggera, può disperdersi lontano dai luoghi in cui è prodotta: soffiata via dal vento o trasportata da corsi d’acqua e correnti oceaniche. La plastica è ora presente in tutti gli oceani del mondo, da un polo all’altro e fino alle fosse oceaniche più profonde».
Nell’oceano, i rifiuti galleggianti di plastica tendono a riunirsi in quelle che vengono chiamate impropriamente “isole di plastica” o “garbage patches” che si formano nei bacini oceanici – ma anche nel Mediterraneo – a causa dei vortici di correnti noti come gyre e uno di questi gyre si trova nell’Oceano Atlantico meridionale, tra l’Africa meridionale e il Sud America, dove c’è Inaccessible Island.
Il team sudafricano/canadese sottolinea che «Capire da dove provengono i rifiuti è essenziale per capire come risolvere il problema. Dal momento che lo scarico in mare di materie plastiche – e di altri rifiuti che sono lenti a degradarsi – è stato vietato nel 1989, si è ampiamente ipotizzato che circa l’80% dei rifiuti nel mare provenga da terra. Tuttavia, abbiamo poche prove concrete per confermare l’importanza delle fonti terrestri per la plastica nelle aree remote».
Ryan un esperto di plastiche marine del FitzPatrick Institute of African Ornithology, DST-NRF Centre of Excellence, dell’università di Cape Town fa notare che «Recenti studi sui rifiuti nel North Pacific garbage patch e nelle isole remote nell’Oceano Pacifico mostrano che gli attrezzi da pesca e le altre attrezzature legate alla navigazione rappresentano gran parte della massa di plastica in mare. La sfida consiste nel comprendere l’origine dei rifiuti “generici” – imballaggi alimentari e prodotti domestici – che potrebbero provenire da navi o da fonti terrestri».
Ironia della sorte, delle isole oceaniche isolate, a molte migliaia di chilometri dal continente, quando si trovano vicino a un gyre possono diventare una vera e propria calamita per i rifiuti oceanici. Nonostante siano lontane dalle maggiori fonti di rifiuti di produzione e consumo di plastica, le loro coste raccolgono una quantità sproporzionata di inquinamento da plastica,.
I ricercatori sudafricani sottolineano: «Prendete Inaccessible Island, un’isola disabitata che deve il suo nome a questo e che è proprio a sud del South Atlantic gyre. Nonostante si trovi a oltre 2 500 chilometri da qualsiasi terraferma, le sue coste sono disseminate di detriti di plastica, di cui circa un terzo sono bottiglie, in particolare bottiglie di acqua e di bibite di plastica».
Insomma. Grazie alla sua posizione nell’Oceano Atlantico meridionale, Inaccessible Island è diventata un punto cospicuo di campionamento per i rifiuti che vi si accumulano e che hanno aiutato gli scienziati sudafricano/canadesi a mettere insieme nuovi indizi sulle origini della plastica “generica” nei nostri oceani.
Ryan ricorda che «A differenza di molti rifiuti domestici generici, le bottiglie possono essere utili traccianti perché spesso hanno marchi che indicano dove e quando sono state prodotte, fornendo una stima del tempo massimo che avrebbero potuto passare in mare. Potremmo anche usare la presenza di animali marini – come i Pedunculata – presenti sulle bottiglie come un altro indicatore di quanto tempo siano rimaste nell’oceano».
Mettendo insieme i modelli delle correnti oceaniche con le informazioni sulle origini e sull’età delle bottiglie che hanno raccolto, il team di ricercatori ha potuto valutare se era plausibile che le bottiglie trovate su Inaccessible Island fossero potute viaggiare dal Paese in cui sono state fabbricate e Ryan aggiunge: «Poiché abbiamo iniziato a monitorare i rifiuti su Inaccessible Island negli anni ’80, negli ultimi tre decenni siamo stati in grado di tracciare i cambiamenti a lungo termine delle origini delle bottiglie. Quando visitammo l’isola per la prima volta, la maggior parte dei rifiuti era andato alla deriva dal Sud America per 3.000 chilometri. Nel 2009, l’Asia ha superato per la prima volta il Sud America come principale fonte delle bottiglie e, nel 2018, il 74% delle bottiglie proveniva dall’Asia».
Nei tre mesi di permanenza dei ricercatori su Inaccessible, i ricercatori hanno potuto constatare che l’84% delle bottiglie di plastica spiaggiate proveniva dall’Asia e di queste almeno i due terzi provenivano dalla Cina.
Il problema è che la maggior parte di quelle bottiglie sono state prodotte da uno o due anni prima di spiaggiarsi sull’isola remota e disabitata, mentre occorrerebbero almeno dai 4 ai 5 anni perché le bottiglie si spostino dall’Asia, attraverso l’Oceano Indiano. Inoltre, sarebbe molto più probabile che la maggior parte dei rifiuti cinesi trovati fosse finita nel North Pacific garbage patch e non su Inaccessible Island.
I ricercatori dicono che «E’ molto più probabile che la maggior parte delle bottiglie asiatiche siano state scaricate dalle navi, una pratica che, in base all’Annex V dell’International Convention for the Prevention of Pollution from Ships (Marpol), è stata vietata dal 1989».
Gli ultimi decenni hanno visto un rapido aumento del traffico navale mercantile tra il Sud America e l’Asia, con oltre 2.400 navi che attualmente ogni anno attraversano l’arcipelago di Tristan da Cunha, di cui Inaccessible fa parte.
Durante i censimenti dei rifiuti sull’isolagli scienziati hanno esaminato 3.515 oggetti nel 2009 e 8.084 oggetti nel 2018. L’involucro più vecchio trovato nel 2018, era un contenitore in polietilene ad alta densità prodotto nel 1971.
Negli ultimi 30 anni Il numero totale di bottiglie che si trovano su Inaccessible Island è cresciuto due volte più velocemente di qualsiasi altro tipo di spazzatura: le bottiglie in polietilene tereftalato (PET) erano il tipo più comune di detriti e avevano il tasso di crescita più rapido tra i detriti, aumentando del 14,7% ogni anno dagli anni ’80. «Inizialmente pensavo che s fossero state le flotte da pesca. Di regola, le barche da pesca tendono ad essere un po’ più “selvaggio West rispetto alle flotte mercantili, ma il fatto che siano soprattutto cinesi non si adatta davvero a questo perché le flotte da pesca predominanti nell’Atlantico meridionale sono taiwanesi e giapponesi – chiarisce Ryan su BBC News – Penso che ci sia un’evidenza sia piuttosto forte che provengano dallo shipping mercantile».
Le bottiglie d’acqua rappresentavano almeno il 61% delle bottiglie di bevande trovate sull’isola dal team e gli scienziati avvertono: «A meno che non cambiamo il modo in cui confezioniamo l’acqua, possiamo aspettarci che tale percentuale continui a crescere».
Ryan conclude: «Ricerche come questa stanno aiutando a risolvere il problema identificando la sua vera fonte. Le nostre scoperte non sminuiscono il fatto che la maggior parte dei rifiuti nelle acque costiere proviene da fonti terrestri. Ma è necessario un maggiore controllo sulla quantità di navi che conferiscono i rifiuti nelle strutture di ricezione dei rifiuti mentre sono in porto per garantire la conformità alle normative Marpol. In particolare, le navi battenti bandiere asiatiche sembrano essere problematiche, perché l’Asia è di gran lunga la fonte più comune di bottiglie non locali lungo la costa del Sudafrica e del Kenya».