Plastica in mare: le tecnologie per raccoglierla non funzionano o sono poco efficaci

Non è così che si risolverà il problema del marine litter e della sua eredità a lungo termine

[5 Agosto 2020]

Il nuovo studio “The long-term legacy of plastic mass production”, pubblicato su Science of the Total Environment da un team di ricercatori del Leibniz-Zentrum für Marine Tropenforschung (ZMT), università di  Exeter,  Leibniz-Institut für Zoo-und Wildtierforschung (IZW), università Jacobs  di Brema e Making Oceans Plastic Free, dimostra che «I dispositivi per la pulizia che raccolgono i rifiuti dalla superficie dell’oceano non risolveranno il problema dell’inquinamento da plastica».

I ricercatori tedeschi e britannici hanno confrontato le stime dei rifiuti di plastica attuali e future con la capacità dei dispositivi di pulizia galleggianti di raccoglierli e hanno scoperto che l’impatto di tali dispositivi è «molto modesto», ma – al contrario di alcuni esperti – dicono che  «Le barriere fluviali potrebbero essere più efficaci e, sebbene non abbiano alcun impatto sulla plastica già negli oceani, potrebbero ridurre l’inquinamento in modo significativo se utilizzato in combinazione con la tecnologia di pulizia di superficie.

Visto che, a seconda delle dimensioni e della posizione, i rifiuti affondati sono difficili o impossibili da rimuovere, lo studio si concentra sulla plastica galleggiante e gli autori stimano che la quantità di plastica raggiungerà il picco nel 2029 e che entro il 2052 la plastica sulla superficie oceanica arriverà a più di 860.000 tonnellate, più del doppio delle attuali  399.000 tonnellate stimate, mentre una ricerca precedente suggeriva che il tasso di inquinamento da plastica prevede che a quel tempo si potrebbe arrivare allo zero inquinamento.

Uno degli autori dello studio, Jesse F. Abrams, del Global Systems Institute e dell’Institute of Data Science and Artificial Intelligence dell’università di Exeter e dell’IZW, sottolinea che «Il messaggio importante di questo documento è che non possiamo continuare a inquinare gli oceani e sperare che la tecnologia risolva il casino. Anche se potessimo raccogliere tutta la plastica negli oceani – cosa che non possiamo – è davvero difficile riciclarla, soprattutto se i frammenti di plastica galleggiano da molto tempo e sono stati degradati o contaminati biologicamente. Le altre soluzioni principali sono seppellirli o bruciarli, ma interrarli potrebbe contaminare il terreno e la combustione porta a emissioni di CO2 in più nell’atmosfera».

Lo studio pesa come un macigno sulle speranze sollevate da iniziative private che propongono di raccogliere la plastica dagli oceani e dai fiumi che hanno recentemente guadagnato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.

Una di queste, Ocean Cleanup, punta a ripulire il “Pacific garbage patch” nei prossimi 20 anni utilizzando barriere galleggianti lunghe 600 metri per raccogliere la plastica per poi avviarla al riciclo o all’incenerimento. Il nuovo studio ha analizzato l’impatto della distribuzione di 200 di questi dispositivi e del loro funzionamento senza interruzioni per 130 anni, dal 2020 al 2150. Secondo i ricercatori, «In questo scenario, i detriti di plastica fluttuanti globali verrebbero ridotti di 44.900 tonnellate, poco più del 5% del totale globale stimato entro la fine di quel periodo».

Il principale autore dello studio, Sönke Hohn dello ZMT, evidenzia che «L’impatto previsto dei dispositivi di pulizia sia singoli che multipli è molto modesto rispetto alla quantità di plastica che entra costantemente nell’oceano. Questi dispositivi sono anche relativamente costosi da produrre e mantenere per unità di plastica rimossa».

Dato che la maggior parte della plastica entra negli oceani attraverso i fiumi, gli autori dello studio dicono che «UN “complete halt” di tale inquinamento che penetra nell’oceano utilizzando barriere fluviali – specialmente nei fiumi inquinanti chiave – potrebbe prevenire la maggior parte dell’inquinamento che altrimenti si prevede nei prossimi tre decenni», ma fanno notare che «Tuttavia, a causa dell’importanza dei grandi fiumi per la navigazione globale, è improbabile che tali barriere vengano installate su larga scala».

Agostino Merico, dello ZMT e della Jacobs, evidenzia che «Data la difficoltà del riciclaggio e gli effetti negativi del conferimento in discarica o dell’incenerimento della plastica, lo studio afferma che bisogna ridurre lo smaltimento e aumentare i tassi di riciclaggio sono cose essenziali per affrontare l’inquinamento degli oceani».

Roger Spranz, co-fondatore dell’ONG Making Oceans Plastic Free, conclude: «La plastica è un materiale estremamente versatile con una vasta gamma di applicazioni di consumo e industriali, ma dobbiamo cercare alternative più sostenibili e ripensare il modo in cui produciamo, consumiamo e smaltiamo la plastica. Abbiamo sviluppato esperienza nel cambiare comportamento per cambiare abitudini riguardo alla plastica e fermare l’inquinamento da plastica alla fonte. Siamo registrati in Germania ma il fulcro delle nostre attività e collaborazioni è in Indonesia, che è la seconda fonte di inquinamento marino da materie plastiche. Collaborando con partner locali, l’implementazione della nostra   campagna Tasini in Indonesia ha finora contribuito a impedire che circa 20 milioni di sacchetti di plastica e 50.000 bottiglie di plastica finissero nelle aree costiere e nell’oceano».