Un Oceano di plastica: il progetto HOTMIC mappa la microplastica nell’Atlantico

Dall'università di Pisa tecniche uniche sviluppate per identificare le diverse tipologie di microplastiche

[4 Giugno 2020]

Nell’oceano Atlantico arrivano ogni anno dai 5 ai 13 milioni di tonnellate, di plastica, «Una presenza di cui però si conosce molto poco – fanno notare all’università di Pisa –  appena il 10%, soprattutto a causa delle microplastiche». Per colmare questo gap di conoscenze è partito il progetto Horizontal and vertical oceanic distribution, transport, and impact of microplastics (HOTMIC), finanziato con 2,3 milioni di euro nell’ambito del programma europeo “JPI Oceans” a sostegno dei mari chiamato “Healthy and Productive Seas and Oceans”.

IL consorzio di HOTMIC  comprede partener di 6 Paesi europei:  GEOMAR come capofila insieme all’università Tecnica di Monaco per la Germania, l’Università della Danimarca meridionale, l’Instituto Português do Mar e da Atmosfera e il centro MARE della Universidade Nova de Lisboa per il Portogallo, l’università di Ghent in Belgio e l’università di Tartu in Estonia e il Dipartimento di chimica e chimica industriale dell’università di Pisa che e l’unico partner italiano  del progetto che prenderà il via ufficialmente il 5 giugno con «l’obiettivo di mappare la presenza delle microplastiche dalla costa Atlantica europea sino al vortice nord atlantico».

All’ateneo pisano spiegano che «Con questo progetto si metteranno a punto metodologie analitiche e si faranno campagne di campionamento delle microplastiche, anche sotto i 10 micron, per valutarne entità, tipologia, distribuzione, rotte dagli estuari fino al mare aperto e dalla superficie sino ai fondali, modalità di degradazione e di interazione con organismi biologici. L’intento è di porre le basi per una più accurata valutazione dei potenziali rischi per l’ambiente e per gli organismi marini».

Il gruppo di ricerca dell’università di Pisa coordinato da Valter Castelvetro è composto da Francesca Modugno, Alessio Ceccarini, Andrea Corti, Mario Cifelli e Antonella Manariti e i chimici e ricercatori di Pisa metteranno in campo le tecniche uniche che hanno ideato per identificare e quantificare le diverse varietà di microplastiche. Castelvetro sottolinea: «Abbiamo sviluppato una metodologia del tutto originale che ci consente di identificare i diversi tipi di microplastica, polimero per polimero, Sino ad oggi la tecnica più comune e utilizzata si limitava infatti a fare una separazione grossolana delle microplastiche dai sedimenti, seguita da una laboriosa e inaccurata conta tramite tecniche di microscopia e spettroscopia microscopica».

Per caratterizzare le microplastiche, saranno utilizzate diverse tecniche di separazione tramite estrazione o depolimerizzazione delle microplastiche, associate a tecniche analitiche di spettroscopia non distruttiva (Raman, FT-IR, microscopia) e distruttiva (HPLC, Py-GC/MS, EGA/MS).

Castelvetro conclude: «La sfida è identificare i principali inquinanti plastici, le insidie maggiori arrivano dai frammenti di plastica più fini, come ad esempio i prodotti di degradazione di imballaggi plastici, le microsfere di polistirene che derivano da alcuni prodotti cosmetici o le microfibre dei tessuti sintetici, che più facilmente entrano nella catena alimentare degli organismi acquatici».