Geotermia, il biomonitoraggio come strumento per analizzarne gli impatti ambientali

In Toscana la maggior parte degli studi, basata sui licheni, fu condotta prima dell’introduzione degli Amis: sarebbe utile ripetere oggi questo tipo d’indagini

[28 Dicembre 2020]

L’energia geotermica può rappresentare un contributo importante alla nostra continua ricerca di risorse alternative per uno sviluppo sostenibile, ed è largamente utilizzata in molti paesi, compreso il nostro. Come tutte le attività umane, lo sfruttamento dell’energia geotermica ha potenziali conseguenze ambientali che devono essere opportunamente conosciute e valutate.

Il progetto europeo Geoenvi, in fase di conclusione, ha la finalità di documentare in modo obiettivo e rigoroso le possibili conseguenze ambientali di tutte le fasi dello sfruttamento della risorsa geotermica, indicando anche le misure di contenimento. In questo contesto, è stata condotta un’indagine[1] su un aspetto relativamente poco conosciuto, ma, come si vedrà, degno di maggior approfondimento: l’uso di indicatori biologici per identificare gli impatti ambientali dell’energia geotermica.

Per monitoraggio biologico (o biomonitoraggio) s’intende l’insieme di metodi che si basano sull’osservazione di organismi viventi e/o di parametri biologici per rilevare mutamenti indotti da contaminazione ambientale. Questi mutamenti sono spesso gli indicatori più diretti dei cambiamenti intercorsi negli ecosistemi; inoltre, il monitoraggio biologico in molti casi è praticabile con successo in situazioni (es., aree remote o poco accessibili) in cui lo sviluppo di reti strumentali di determinazione dei parametri ambientali può risultare difficoltosa. Per questi motivi, il monitoraggio biologico trova applicazione sempre più vasta.

Con riferimento alla geotermia, peraltro, la pratica di questi metodi risulta relativamente modesta, e in buona parte limitata agli storici campi geotermici della Toscana (Larderello-Travale e Monte Amiata). Già nel 1916 il botanico Bargagli-Petrucci descriveva gli effetti negativi osservabili sulla vegetazione nei pressi delle fuoruscite naturali di vapori a Larderello. Si devono però aspettare quasi quarant’anni per avere, da parte di Ornella Vergnano, una prima osservazione sistematica degli effetti del boro su olmi e pioppi, ed è del 1960 il primo studio volto a documentare le modificazioni degli ecosistemi in prossimità delle centrali geotermoelettriche.

Nei vent’anni a cavallo tra il secolo scorso e l’attuale, si assiste al fiorire di una vasta messe di studi, per merito soprattutto di ricercatori dell’Università di Siena, tra cui ricordiamo Eros Bacci, Franco Baldi, Roberto Bargagli e Stefano Loppi.

La maggior parte delle indagini si è basata sui licheni. Questi organismi infatti presentano notevoli capacità di accumulo di sostanze dall’atmosfera, e sono quindi ottimi rilevatori di inquinanti aerodispersi, quali Hg e H2S. Inoltre, la loro modalità di distribuzione è considerata di per sé un indicatore dello “stato di salute” di un ecosistema. In sintesi, i principali risultati ottenuti da questi ricercatori documentarono incrementi della concentrazione di specie inquinanti e diminuzione dell’indice di qualità basato sui licheni nel raggio di circa 500-1000 m dalle centrali geotermoelettriche; a distanze maggiori, gli effetti divengono trascurabili.

È importante notare che la maggior parte di questi studi fu condotta prima dell’introduzione, nelle centrali toscane, dei moderni sistemi di abbattimento degli inquinanti (AMIS): sarebbe utile ripetere oggi questo tipo d’indagini, per documentare gli effetti a lungo termine di queste installazioni.

Fuori d’Italia, gli esempi di biomonitoraggio dell’impatto delle centrali geotermiche sono scarsi, limitandosi ad alcuni studi in Islanda, USA, Kenya, Messico e Nuova Zelanda. Si ritiene invece che queste pratiche dovrebbero essere incoraggiate, per la loro capacità, con relativa semplicità di esecuzione e favorevole rapporto costi/benefici, di documentare l’evoluzione degli ecosistemi in conseguenza delle attività antropiche di sfruttamento dell’energia geotermica.

[1]I risultati completi sono stati pubblicati sulla rivista (ad accesso libero) Frontiers in environmental sciences (doi: 10.3389/fenvs.2020.579343) e sono disponibili anche sul sito geoenvi.eu