Mammiferi ed epidemie: da M’ammalia una settimana di approfondimenti

La zoonosi sono in crescita a causa delle alterazioni ambientali prodotte dall’uomo

La frammentazione e la distruzione degli habitat naturali sono alla base della diffusione di molte nuove malattie infettive

[18 Novembre 2020]

Mammiferi ed epidemie: un anno vissuto pericolosamente”: questo il titolo della dodicesima edizione di “M’ammalia, la settimana dei mammiferi”, patrocinata da ATIt, un insieme di eventi che coinvolge musei naturalistici, orti botanici, biblioteche, associazioni e università di tutta Italia. La manifestazione è durata due settimane e ha ospitato una ventina di eventi, distribuiti in tutta Italia, oltre che su piattaforma virtuale, in osservanza delle attuali normative per rallentare la diffusione di Covid-19.

Proprio l’attuale pandemia ha dato lo spunto, quasi obbligatorio, per il tema di questa ultima edizione, perché la paura delle zoonosi rischia di creare nuove opportunità di conflitto con la fauna selvatica. Lo scopo di M’ammalia è quello di informare e comunicare evidenze scientifiche, superando pregiudizi e paure infondate che possono generare una pericolosa caccia all’untore a svantaggio della conservazione.

Le zoonosi sono malattie che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo per contatto diretto o attraverso altri organismi infetti (ad esempio, tramite punture di insetti).

Le zoonosi rappresentano più del 60% delle malattie infettive emergenti umane, e includono virus con alta letalità come Ebola, HIV e Nipah. Di per sé le zoonosi sono un fenomeno naturale, ma nelle ultime decadi si è osservato un significativo aumento, e le evidenze scientifiche dimostrano che c’è un nesso con le alterazioni ambientali prodotte dall’uomo.

Perdita e trasformazione di ambienti, agricoltura e allevamenti intensivi, urbanizzazione, crescita esponenziale ed espansione delle popolazioni umane da un lato portano all’attuale grave crisi della biodiversità, dall’altro creano le condizioni ottimali per la diffusione di nuovi patogeni. A questo vanno a sommarsi i cambiamenti climatici in atto e soprattutto la rapidità e l’ampiezza degli spostamenti umani, che fanno sì che i patogeni oggi si diffondano con estrema velocità su vaste aree, come abbiamo potuto purtroppo sperimentare in questi mesi con il Covid-19.

La frammentazione e la distruzione degli habitat naturali sono alla base della diffusione di molte zoonosi. Questi processi infatti aumentano l’interfaccia diretta tra uomo e la fauna, possono creare densità anomale all’interno di ambienti naturali trasformati e ridotti. Inoltre è stato dimostrato che l’alterazione degli habitat può favorire specie reservoir (serbatoio) di malattie: molte specie generaliste che beneficiano degli ambienti urbani o agricoli sono anche ospitidi patogeni trasmissibili all’uomo, al contrario della maggior parte delle specie che rischiano l’estinzione a causa dell’antropizzazione del territorio.

Alle nostre latitudini, sull’arco alpino, è stato osservato che la frammentazione degli habitat favorisce ad esempio le zecche portatrici di diverse patologie pericolose come laborrelliosi di Lyme. In questo caso la frammentazione degli ambienti naturali crea densità anomale di ospiti del parassita, in particolare roditori e cervidi, portando a una grande concentrazione di zecche. Poiché però i frammenti di habitat forestale sono di piccola estensione, i cervidi si spostano da un frammento all’altro impedendo la diluizione del parassita. E poiché molti degli ambienti di ecotono sono anche aree utilizzate dalle persone, ecco che le zecche possono diventare un problema per la salute umana. A questo si somma l’effetto del riscaldamento climatico, che favorisce la presenza delle zecche a quote sempre più elevate.

Alcune zoonosi sono il risultato di uno spillover, un salto di specie di un patogeno da un animale all’uomo. Spillover è ormai una parola entrata nel nostro vocabolario perché è all’origine proprio di Sars-Cov-2, il virus responsabile della patologia Covid-19. Al banco degli imputati ci sono la deforestazione e i wet market, mercati alimentari cinesi in cui vengono venduti animali vivi e morti di ogni specie, tenuti in condizioni sanitarie precarie che facilitano le possibilità di contagio intra e interspecifico.

La diffusione di notizie allarmistiche e inesatte sui pipistrelli come specie da cui il virus è passato all’uomo, ha portato un diffuso e ingiustificato timore verso questi mammiferi, con associati problemi di conservazione. Sulla pagina del Girc, il gruppo specialistico di ATIt dedicato allo studio e alla conservazione dei pipistrelli, potrete trovare una FAQ che risponde in modo scientifico alle paure generate dalle notizie inesatte diffuse negli ultimi mesi. I chirotteri, l’ordine di mammiferi cui appartengono tutti i pipistrelli, sono stati protagonisti di diversi eventi nell’ambito di M’ammalia, proprio per sfatare falsi miti su questi mammiferi, che forniscono importanti servizi ecosistemici (ad esempio il controllo di insetti nocivi per l’agricoltura) e sono minacciati dalla perdita e frammentazione degli habitat (in Italia ci sono 35 specie, e il 70% è minacciato), ma anche dalla zoonosi inversa, ovvero dalla trasmissione di patogeni da parte dell’uomo.

Il timore delle zoonosi non deve condizionare il nostro rapporto con i mammiferi, ma è necessaria una consapevolezza dei potenziali rischi per poter prevenire situazioni spiacevoli. Ad esempio è sempre buona norma non avvicinarsi e non toccare a mani nude gli animali selvatici. Nel caso di rinvenimento di animali feriti l’azione più opportuna è quella di rivolgersi al centro di recupero più vicino, o a professionisti esperti di selvatici, questo aiuterà l’animale in difficoltà ed eliminerà alla base qualsiasi rischio. Segnaliamo a tal proposito il video di uno degli interventi realizzati nel corso di M’ammalia dall’Associazione faunisti veneti, dedicato alle norme da osservare se si trova un selvatico in difficoltà.

L’attuale pandemia deve aumentare in noi la consapevolezza che la tutela dei mammiferi e degli habitat in cui vivono non va intesa solo come una importante azione di conservazione, ma anche come un’opera di prevenzione delle malattie. Per un reale cambiamento in meglio per il futuro è necessaria l’adozione dell’approccio OneHealth, perché la salute degli ecosistemi è la nostra salute.

di Laura Scillitani, divulgatrice scientifica e  consigliere AtIt, per greenreport.it