Tutte le bufale su 5G e salute, spiegate dall’Istituto superiore di sanità

«È prevedibile che, con la progressiva sostituzione delle tecnologie precedenti con quella 5G, le esposizioni complessive della popolazione diminuiranno ulteriormente rispetto a quanto sta già avvenendo»

[29 Aprile 2020]

A Birmingham e Merseyside, nel Regno Unito, nelle settimane scorse c’è chi ha appiccato fuoco alle antenne 5G accusandole di essere gli untori della pandemia; pochi giorni fa scene simili si sono ripetute in provincia di Caserta – nel Comune di Maddaloni, tristemente noto per le vicende della Terra dei fuochi – dove alcune celle bts sono state date alle fiamme. Si trattava però di tradizionali strumenti 3G e 4G, con il risultato che migliaia di cittadini si sono ritrovati senza segnale in un frangente in cui le comunicazioni telefoniche e online ci permettono di rimanere in contatto col resto del mondo mentre stiamo chiusi in casa.

In quest’occasione le fake news si sono rivelate chiaramente per quelle che sono: un pericolo per la società e anche per la salute. Per questo è sceso in campo direttamente l’Istituto superiore di sanità, attraverso una nota a firma di Alessandro Polichetti, contribuendo a fare chiarezza.

Il 5G – come indica il nome – è semplicemente la quinta generazione delle tecnologie di telefonia mobile, ad oggi in fase di sperimentazione, per la quale si prevede un ulteriore aumento di antenne sul territorio: agli utenti umani si affiancheranno infatti sempre più dispositivi che comunicano tra loro (il cosiddetto Internet delle cose) ma con potenze di emissione che «saranno sempre più basse e così il contributo ai livelli di esposizione che in ogni caso dovranno rispettare i limiti precauzionali fissati dalla normativa nazionale: l’installazione di nuove antenne in siti dove sono già presenti altre antenne, infatti, per legge non può portare ad un superamento dei valori di attenzione precauzionali vigenti in Italia, in quanto tali valori di attenzione sono espressi in termini di valori complessivi dovuti a tutte le antenne che generano i campi elettromagnetici presenti in ogni punto dello spazio».

In questo contesto, l’Iss osserva che con tutta probabilità il passaggio al 5G sarà legato a una minore esposizione a inquinamento elettromagnetico: «È comunque prevedibile che, con la progressiva sostituzione delle tecnologie precedenti con quella 5G, le esposizioni complessive della popolazione diminuiranno ulteriormente rispetto a quanto sta già avvenendo».

Del resto la storia mostra già che la potenza media per chiamata di un cellulare connesso ad una rete 3G o 4G è 100-500 volte inferiore a quella di un dispositivo collegato ad una rete 2G, ma le caratteristiche intrinseche della tecnologia 5G impongono ulteriori considerazioni al fine di valutare correttamente l’esposizione.

Al proposito, un’altra causa di preoccupazione per il pubblico è rappresentata dal fatto che col 5G è previsto anche l’utilizzo di frequenze (circa 27 GHz) molto diverse da quelle attualmente utilizzate per la telefonia mobile (800-2,6 GHz), e ciò ha portato a parlare di frequenze “inesplorate” dal punto di vista degli effetti sulla salute. «In realtà – spiega ancora l’Iss – sono stati già condotti alcuni studi sulle onde a qualche decina di GHz (più vicine alle frequenze di circa 27 GHz). Inoltre quelle usate dal 5G appartengono comunque all’intervallo delle radiofrequenze, i cui meccanismi di interazione con il corpo umano sono ben compresi, e i limiti di esposizione internazionali (e a maggior ragione i più cautelativi limiti italiani) consentono di prevenire totalmente gli effetti noti dei campi elettromagnetici anche a queste frequenze».

Riassumendo, dunque: il 5G rappresenta la quinta generazione delle tecnologie di telefonia mobile, che deve comunque agire entro gli attuali limiti normativi (in Italia più stringenti che in Ue) inerenti l’esposizione all’inquinamento elettromagnetico; le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente verificano sempre che i progetti dei nuovi impianti, o di modifica di quelli esistenti, siano compatibili con i limiti normativi; l’Organizzazione mondiale della sanità, il ministero della Salute e il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente hanno già chiarito che non c’è nessuna evidenza scientifica che colleghi il 5G alla pandemia da Covid-19, e l’Istituto superiore di sanità aggiunge che «ad oggi, e dopo molte ricerche effettuate, nessun effetto negativo sulla salute è stato collegato in modo causale all’esposizione alle tecnologie wireless».

Questo naturalmente non significa che sia possibile abbandonare ogni cautela sul 5G, né la ricerca scientifica nel merito. Al contrario, significa dare spazio a fonti autorevoli in modo da distinguere tra allarmi fondati e fake news. Come osserva la rivista Nature per farlo occorre la collaborazione di media e ricercatori scientifici, contrastando la disinformazione inondando l’ecosistema mediatico di informazioni accurate, comprensibili, coinvolgenti e facili da condividere online. Senza il supporto delle istituzioni la lotta alla fake news rischia però di crollare; in quest’ottica, ad esempio, l’ordinanza firmata il 15 aprile dal sindaco di Maddaloni – relativa al divieto di sperimentazione ed installazione di sistemi 5G sul territorio comunale – probabilmente non ha aiutato a contenere la psicosi sul proprio territorio.