Consumo di suolo in Italia, il “prezzo da pagare” è quasi un miliardo all’anno

Ispra: «Oltre la metà del territorio nazionale ha ormai perso parte delle sue funzioni fondamentali»

[13 Luglio 2016]

Il rapporto 2016 “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, pubblicato oggi dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e presentato durante la Giornata dedicata al suolo, conferma tutte le preoccupazioni e gli allarmi delle associazioni ambientaliste e degli urbanisti: Sfiora il miliardo di euro (oltre 800 milioni) il prezzo massimo annuale che gli italiani potrebbero pagare dal 2016 in poi per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo degli ultimi 3 anni (2012-2015), un consumo che, sebbene viaggi oggi alla velocità più ridotta di 4 metri quadrati al secondo, continua inesorabilmente ad avanzare ricoprendo in soli due anni altri 250 km2 di territorio, circa 35 ettari al giorno».

Ma la situazione risale è ancora peggio di quella percepita: «I costi occulti, quelli cioè non sempre immediatamente percepiti – spiegano all’Ispra – prevedono una spesa media che può arrivare anche a 55 mila euro all’anno per ogni ettaro di terreno consumato e cambiano a seconda del servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita: si va dalla produzione agricola (oltre 400 milioni di euro), allo stoccaggio del carbonio (circa 150 milioni), dalla protezione dell’ erosione (oltre 120 milioni), ai danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni) e dall’assenza di impollinatori (quasi 3 milioni). Solo per la regolazione del microclima urbano (ad un aumento di 20 ettari per km2 di suolo consumato corrisponde un aumento di 0.6 °C della temperatura superficiale) è stato stimato un costo che si aggira intorno ai 10 milioni all’anno».

Il rapporto evidenzia che si tratta delle stime preliminari dei costi nazionali “nascosti” provocati dalla trasformazione forzata del territorio avvenuta tra il 2012 e il 2015 e aggiunge che «Milano (45 milioni), Roma (39 milioni di euro), e Venezia (27 milioni) sono le città metropolitane con i costi annuali più alti. Nonostante la crisi, l’Italia perde ancora terreno: dal 2012 al 2015 il territorio sigillato è aumentato dello 0,7%, invadendo fiumi e laghi (+0,5%), coste (+0,3%) ed aree protette (+0,3%), avanzando anche in zone a pericolosità sismica (+0,8%), da frana (+0,3%) e idraulica (+0,6%)».

Inoltre, la maggior parte del suolo consumato è di buona qualità: «Lo studio condotto in Abruzzo e in Veneto – dicono all’Ispra – ha dimostrato che i suoli modificati sono quelli con maggiore potenzialità produttiva. Inoltre la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto, ma produce impatti notevoli anche su quello circostante. Gli effetti, le perdita di parte delle funzioni fondamentali, si ripercuotono sul suolo fino a 100 metri di distanza. In altri termini, oltre la metà del territorio nazionale (56%) risulta compromesso».

Nel 2015, 3 regioni hanno superato il 10% di suolo consumato, con il valore percentuale più elevato in Lombardia, Veneto e Campania.  Mentre Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana, Marche hanno valori compresi tra il 7 e il 10%. La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta (3%).

Il rapporto conclude: «Nel triennio 2012-2015 l’Italia si è divisa nettamente in due: il consumo avvenuto nella metà dei comuni italiani (51%) coincide con l’incremento della popolazione, mentre l’altra metà (49%) ha consumato ‘a perdere’, ovvero nonostante la popolazione non crescesse. I piccoli comuni (con meno di 5.000 abitanti) sono i più inefficienti, avendo i valori più alti di consumo marginale di suolo: per ogni nuovo abitante divorano mediamente tra i 500 e i 700 m2 di suolo contro i 100 m2 dei comuni con più di 50.000 abitanti».

«Per frenare il consumo di suolo – commenta Damiano Di Simine, della segreteria nazionale di Legambiente – c’è bisogno di norme e regole efficaci, azioni e strategie concrete non più rimandabili e che mettano al centro la rigenerazione urbana e il suolo inteso come bene comune e preziosa risorsa da tutelare. È il momento di dare un segnale chiaro al Paese, delineando una strategia ben precisa che tenga conto di una politica economica sostenibile e una normativa a difesa del suolo. Per questo chiediamo al Parlamento di approvare in questa legislatura e in tempi brevi il ddl contro il consumo di suolo, in ballo da quattro anni e ora in discussione al Senato; mentre all’Unione Europea chiediamo di approvare una direttiva europea sul suolo». A tal proposito Legambiente, da anni in prima linea nella lotta al consumo di suolo, è impegnata nella grande campagna europea PEOPLE4SOIL, insieme a tante altre associazioni, per chiedere regole efficaci contro il consumo di suolo, condivise dall’Europa. «Per questo a settembre – aggiunge Di Simine – lanceremo una grande petizione popolare europea che coinvolgerà tanti cittadini e una rete di oltre 300 organizzazioni. L’obiettivo è quello di raccogliere le firme di un milione di cittadini europei e chiedere alle istituzioni comunitarie di introdurre una direttiva specifica a tutela del suolo in Europa».