L’urbanizzazione ha creato nuove “nicchie ecologiche” per la diffusione di epidemie

Il rischio viene soprattutto dalle periferie in costante crescita e dalla mancanza di servizi e di governance

[23 Aprile 2020]

Lo studio “Extended urbanisation and the spatialities of infectious disease: Demographic change, infrastructure and governance”, pubblicato su Urban Studies dal britannico Creighton Connolly dell’università di Lincoln e dai canadesi Roger Keil e S. Harris Ali della York University, evidenzia come l’espansione delle aree urbane «stia creando le condizioni per l’emergere e la diffusione di malattie infettive in tutto il mondo, confondendo i confini classici tra città, sobborgo e campagna».

Gli autori dello studio sono convinti che «Le malattie infettive emergenti hanno molto a che fare con come e dove viviamo. Il recente scoppio del coronavirus Covid-19 è un esempio delle strette relazioni tra sviluppo urbano e malattie infettive nuove o riemergenti. Come per la pandemia di SARS del 2003, le connessioni tra l’urbanizzazione accelerata, i mezzi di trasporto più diffusi e più veloci e la crescente vicinanza tra vita urbana e natura non umana – e le successive infezioni trans-specie – sono diventate immediatamente evidenti».

Il team interdisciplinare ha studiato in che modo la tendenza globale verso l’urbanizzazione ha contribuito all’aumento del numero totale di epidemie per ogni decennio a partire dagli anni ’80 e la rivisitazione della letteratura scientifica dimostra che l’espansione urbana dei sobborghi delle città, la cosiddetta “urbanizzazione estesa” «Sta fondamentalmente alterando le relazioni spaziali che modellano il modo in cui milioni di persone vivono e interagiscono tra loro e con la natura. In tal modo, sta creando “nuove nicchie ecologiche” per la diffusione di malattie infettive».
La rapida urbanizzazione avvenuta e ancora in corso, in particolare nei Paesi in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa, sta creando quelle che i tre ricercatori definiscono «relazioni fluide tra ambienti urbani e rurali con le popolazioni attratte da nuovi tipi di insediamenti suburbani alla periferia delle città» che possono essere sia quartieri periferici, bidonville, campi profughi o comunità di lavoratori che vivono vicino a miniere o fabbriche.

Lo studio evidenzia che «Queste aree suburbane e “periurbane” hanno maggiori probabilità rispetto alle città di essere la fonte di malattie infettive nuove e riemergenti. Sono particolarmente vulnerabili alle malattie che passano il confine animale-umano (zoonosi), poiché mettono in contatto popolazioni di esseri umani e bestiame con gli animali selvatici in un modo che non avviene nelle città». Si tratta spesso di aree densamente popolate, mal pianificate, prive di infrastrutture igienico-sanitarie e spesso non controllate e amministrate dalle autorità governative. Inoltre, per quanto riguarda le politiche sanitarie pubbliche, queste periferie fungono da canale di collegamento tra città e campagna, rendendo “porosi” i confini comunali, regionali e persino nazionali,

I ricercatori fanno gli eclatanti esempi dei recenti focolai delle epidemie di SARS ed Ebola che hanno avuto origine proprio in questi territori suburbani prima di diffondersi nelle città più grandi e strutturate e sono convinti che «Questo punto debole strutturale delle epidemie di malattie infettive è stato ampiamente trascurato negli studi accademici sull’epidemiologia globale dell’urbanizzazione, che invece hanno teso a concentrarsi sulle disuguaglianze sanitarie legate alla povertà urbana, come le malattie causate dall’obesità».

Il team di ricercatori spiega che «La nostra ricerca identifica tre dimensioni delle relazioni tra l’urbanizzazione estesa e le malattie infettive che richiedono una migliore comprensione: cambiamento e mobilità della popolazione, infrastrutture e governance. Il cambiamento e la mobilità della popolazione sono immediatamente connessi. La crescita della popolazione nelle città – guidata principalmente dalla migrazione rurale-urbana – è un fattore importante che influenza la diffusione delle malattie. Ciò si vede più chiaramente nelle regioni in rapida urbanizzazione come l’Africa e l’Asia, che hanno subito rispettivamente le recenti epidemie di Ebola e SARS. Anche le infrastrutture sono centrali: le malattie possono diffondersi rapidamente tra le città attraverso le infrastrutture della globalizzazione come le reti globali del trasporto aereo. Gli aeroporti sono spesso situati ai margini delle aree urbane, sollevando complesse questioni di governance e giurisdizionali per quanto riguarda chi ha la responsabilità di controllare le epidemie di malattie nelle grandi aree urbane. Possiamo anche presumere che i focolai di malattie rafforzino le disparità esistenti nell’accesso e nei benefici delle infrastrutture della mobilità. Dobbiamo quindi considerare le disconnessioni che diventano evidenti in quanto una rapida crescita demografica e peri-urbana non è accompagnata da un adeguato sviluppo delle infrastrutture. Infine, l’epidemia di COVID-19 ha messo in luce a diversi livelli sia le carenze che le potenziali opportunità di governance. Sebbene sia terrificante vedere intere megalopoli messe in quarantena, è improbabile che tali misure drastiche vengano accettate in Paesi non governati da una leadership autoritaria centralizzata. Ma anche in Cina, la governance multilivello si è rivelata fallimentare, in quanto le unità del governo locale, regionale e centrale (e di Partito) non erano sufficientemente coordinate all’inizio della crisi». Una situazione simile è stata osservata in stati federali come il Canada, gli Usa, il Brasile e nella stessa Unione europea».

Connolly, un geografo urbano della School of Geography dell’università di Lincoln, ricorda che «La crescita economica, i mutevoli mercati del lavoro e i conflitti stanno guidando l’espansione e la migrazione dall’ambiente rurale a quello urbano nei Paesi in via di sviluppo a un ritmo senza precedenti. Il miglioramento delle infrastrutture di trasporto ha ridotto da giorni a ore i tempi di percorrenza tra campagna, periferia e città. Tuttavia, l’infrastruttura vitale per una buona salute pubblica, come le cliniche sanitarie e l’acqua pulita, è spesso in ritardo. La governance – in particolare i meccanismi per rispondere rapidamente alle malattie epidemiche – sono anche più deboli in queste comunità marginali nella cosiddetta ” urban shadow” rispetto alle città consolidate, poiché le responsabilità giurisdizionali sono spesso nebulose».
I ricercatori concludono che «Una migliore comprensione delle mutevoli relazioni spaziali tra città, periferie e campagna, i fattori che modellano questi cambiamenti e i modi efficaci per adattarsi ad essi, saranno fondamentali per ridurre il rischio di future epidemie di malattie infettive e limitarne la diffusione quando si verificano. Mentre stiamo entrando in un’altra ondata di megaurbanizzazione, le regioni urbane dovranno sviluppare metodi efficienti e innovativi per affrontare le malattie infettive emergenti senza fare affidamento su drastiche misure statali dall’alto verso il basso che possono essere dirompenti a livello globale e spesso inefficaci. Questo sollecita i ricercatori urbani a cercare nuove e migliori spiegazioni per le relazioni tra l’estesa urbanizzazione e le spazialità delle malattie infettive, uno sforzo che richiederà un approccio interdisciplinare che includa geografi, scienziati della salute, sociologi».

 

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