Rapporto Montagne Italia: Alpi e Appennino anticipano il cambiamento del Paese

Lo sviluppo o sarà green o non sarà, e sarà green solo con l'impiego corretto delle risorse naturali

[19 Luglio 2016]

E’ stato presentato alla Camera dei Deputati il  Rapporto Montagne Italia 2016, realizzato dalla Fondazione Montagne Italia nata dall’intesa tra Uncem e Federbim, che evidenzia che il  54% del nostro Paese è  montano e che quindi «Alpi e Appennini non sono luoghi marginali, ma sono tornati al centro del sistema produttivo, sociale ed economico, anticipando cambiamenti sociali e culturali, rispondendo prima e in modo diverso dalle città alla crisi».

Secondo Enrico Borghi, presidente dell’intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna e Presidente Uncem, «I dati del Rapporto confermano il ruolo di straordinario laboratorio che le montagne rappresentano per il Paese. La montagna è dal punto di vista demografico quello che il Paese sarà tra dieci anni. È il luogo in cui si sperimenta un modello di sviluppo della green economy, ha caratteristiche che fanno sì che si possa costruire un modello sociale di coesione. Il Governo oggi ha dato risposte in termini di risorse e di legislazione specifiche. Dobbiamo dunque costruire politiche che si basino su dati reali e non su sensazioni o addirittura su polemiche sensazionalistiche».

Dal rapporto emerge che «In montagna assistiamo a due flussi di “ristrutturazione demografica” che verosimilmente si diffonderanno a breve sul territorio nazionale. In primo luogo un tendenziale invecchiamento della popolazione, fattore che può rappresentare anche una straordinaria risorsa se consideriamo la potenzialità di un segmento demografico che esce dal mercato del lavoro ma che ha di fronte a sé una prospettiva di vita ancora lunga. In secondo luogo, la progressiva presenza di immigrati che si stanno sostituendo, anche nei cicli produttivi di rilevante importanza, alla manodopera locale che manca ma che necessitano di gestione nei flussi e non di occasionalità».

Due aspetti ai quali si lega il tema della sostenibilità, che porta con sé la capacità di una comunità di fare delle scelte in rapporto alle proprie specificità. Il rapporto fa l’esempio di esperienze interessanti come la oil free zone nata nel Vanoi Primiero che potrebbero essere riprese a livello nazionale: «La possibilità cioè di immaginare che le vallate montane siano anticipatrici di un percorso di progressiva emancipazione dal basso della logica che passa dal fossile alle energie rinnovabili. Le montagne italiane, insomma, sono uno straordinario laboratorio a cielo aperto di cosa potrà essere l’Italia tra dieci anni, perché lo sviluppo o sarà Green o non sarà, e sarà Green solo passando per l’impiego corretto delle risorse naturali montane e la riscrittura con le comunità locali del patto per il loro utilizzo ed impiego».

Un percorso che secondo Fondazione Montagne «trova nella delega data al Governo per l’introduzione del pagamento di servizi ecosistemici ambientali il suo completamento. In base a questa norma, infatti, il Governo dovrà emanare un decreto che stabilisca il valore ecologico ambientale ecosistemico dell’utilizzo dei beni collettivi. Significa che acqua, aria, suolo, stoccaggio della CO2, valore ecosistemico del bosco diventano improvvisamente risorse quantificabili il valore del quale che deve essere reimpiegato per la tutela, la salvaguardia e la riproduzione del bene e che inevitabilmente porta con sé il tema della riorganizzazione della governance».

Il rapporto evidenzia un alro settore essenziale: l’agricoltura. «Si è ottenuto un importante riconoscimento, quello della specificità dell’agricoltura di montagna nel quadro della nuova politica agricola montana, e lo stanziamento di risorse importanti per il periodo di programmazione 2014-2020 – dicono Uncem e Federbim – ma vi è la necessità di finalizzare su questi aspetti le risorse che ci sono e le capacità di far fruttare investimenti e di creare infrastrutture adeguate, dando spazio ai giovani ritornanti ed eliminando sacche di burocrazia che ancora rendono troppo paludate le procedure di impiego dei fondi europei per la montagna e le aree rurali».

Intervenendo alla presentazione del rapporto, il ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa, ha  evidenziare che «Nel Documento di programmazione economico-finanziaria del Paese c’è una rinnovata attenzione per la montagna. Non più finanziamenti a pioggia, non più “non scelte” politiche. Favoriamo e agevoliamo chi ha iniziative, individuiamo linee strategiche su cui investire. Lo dice chiaramente il Def. Sul fondo di sviluppo e coesione serve un percorso tempestivo e vogliamo che un capitolo di questi fondi sia riservato per la montagna. Va reso organico. La dignità di uno spazio politico legato alle esigenze della montagna deve essere tenuto in considerazione”. Costa ha anche ribadito la necessità di intervenire sul sistema di governance viste la grande frammentazione istituzionale, dei Comuni e delle Unioni montane, nelle diverse regioni italiane».

Commentando il rapporto, il vicepresidente generale del Club alpino italiano, Erminio Quartiani, ha detto che «Tra le argomentazioni portate nei diversi interventi è stata confermata l’idea di rilancio della causa montana come un impegno che deve essere assunto a livello nazionale da istituzioni, cittadini e imprese. Ci sono fattori che fanno pensare che la montagna debba essere maggiormente valorizzata, in primis la stabilizzazione media del numero dei suoi abitanti. E’ necessaria una migliore definizione sui luoghi che sono montagna, in modo che le risorse disponibili vengano convogliate verso zone che necessitino della solidarietà della mano pubblica» e ha concluso: «L’indice di invecchiamento è inferiore alla media nazionale. Per quanto riguarda gli immigrati, la loro presenza diffusa, se adeguatamente stabilizzata, può essere messa a disposizione delle attività nei territori montani, come l’agricoltura e i servizi. Oggi la montagna italiana deve sviluppare potenzialità ancora inespresse che possono contribuire al rilancio di tutta la nazione. Dobbiamo consentire alle imprese montane che hanno previsto una diminuzione di fatturato nei prossimi anni di poter invertire la rotta, adattandosi agli importanti cambiamenti climatici in atto con azioni sostenibili dal punto di vista ambientale».