BLOOM: «L’impostura dell’ecolabel “MSC pesca sostenibile”»

Uno studio rivela che in realtà MSC certifica soprattutto la pesca industriale non sostenibile

[6 Maggio 2020]

Lo studio “Small is beautiful, but large is certified: A comparison between fisheries the Marine Stewardship Council (MSC) features in its promotional materials and MSC-certified fisheries”, pubblicato su PLOS ONE da Frédéric Le Manach e Claire Nouvian di BLOOM, Jennifer Jacquet della new York university, Megan Bailey della Dalhousie University – Halifax e dalla consulente della pesca francese Charlène Jouanneau è un durissimo attacco alla certificazione Marine Stewardship Council (MSC) che sul suo sito internet si presenta così: «Siamo una organizzazione mondiale senza scopo di lucro, creata per lottare contro la sovra-pesca. Proponiamo ai consumatori un riferimento semplice, l’etichetta blu di MSC, per scegliere del pesce selvaggio proveniente dalla pesca sostenibile».

Eppure, nel 1997, un’ondata di ottimismo aveva percorso la comunità scientifica internazionale preoccupata per la salute degli oceani quando venne annunciata la creazione del marchio di qualità MSC che prometteva di sensibilizzare l’opinione pubblica e l’industria della pesca ad una maggiore sostenibilità. Con il label i consumatori avrebbero potuto comprare del pesce senza “sentirsi colpevoli” . M a BLOOM div cono che «20 anni più tardi, la disillusione è amara per gli scienziati e le ONG che hanno sostenuto il lancio e l’approccio di questo ecolabel, inizialmente creato dal Wwf e dal gigante dell’agroalimentare Unilever, e diventato nel frattempo il leader mondiale degli ecolabel dei prodotti di mare».

Le critiche, all’inizio timide, con il passare del tempo sono diventate sempre più numerose e severe e hanno cominciato a prendere di mira la mancanza di ambizione dell’applicazione degli standard e l’imparzialità del processo di certificazione. La leadership MSC ha risposto alle critiche ribadendo che l’ecolabel dà «la garanzia che nessun metodo distruttivo sia stato autorizzato» Un’asserzione che, secondo BLOOM, è stata continuamente ripetuta ma mai verificata.

Lo ha fatto il nuovo studio franco-statunitense-canadese con un’analisi esaustiva di tutte le flotte di pesca certificate MSC fin dall’origine dell’etichetta blu e ambientalisti e ricercatori dicono che «I risultati rivelano senza alcun dubbio l’ampiezza dell’impostura del label MSC: all’opposto delle sue affermazioni, il label MSC certifica infatti soprattutto la pesca industriale distruttiva».

Inoltre, BLOOM e i coautori dello studio hanno passato al setaccio la comunicazione del MSC, scoprendo che «Il label MSC nasconde questo vizio fondamentale mettendo soprattutto in primo piano la piccola pesca costiera che ha un basso impatto sull’ambiente marino».

Invece, lo studio dimostra che «La grande pesca industriale a forte impatto rappresenta l’83% dei volumi certificati MSC tra il 2009 e il 2017 ma solamente il 32% delle sue illustrazioni fotografiche, mentre, al contrario, la piccola pesca a basso impatto rappresenta solo il 7% dei volumi certificati ma il 47% delle illustrazioni. Il label MSC trucca così la sua realtà, “senza sentirsi colpevole”, per corrispondere a quella desiderata dai cittadini sempre più esigenti a proposito del bilancio ambientale dei prodotto che acquistano.

Secondo BLOOM e gli autori dello studio, «Le attività di pesca certificate “MSC pesca sostenibile” sono molto lontane dalla promessa iniziale dell’etichetta di garantire “che non è autorizzato alcun metodo distruttivo” . In realtà, i metodi di pesca più efficaci che esistono, come le reti a strascico e le draghe, rappresentavano l’83% delle catture certificate MSC tra il 2009 e il 2017. Anche le più grandi navi industriali europee, che raggiungono i 144 metri di lunghezza, sono certificate MSC. Non c’è da stupirsi che: l’etichetta MSC ritenga che solo la pesca con esplosivi e veleni, come il cianuro, non sia “sostenibile”. Tutto il resto può richiedere la certificazione. I criteri MSC consentono quindi di certificare “sostenibili” le pratiche più efficaci. Le specifiche non sono state solo criticate per il loro lassismo e per le incoerenze, ma anche per la loro applicazione parziale e intaccata da conflitti di interesse. I difetti, sia a monte che a valle del processo di certificazione, sono stati oggetto di numerose critiche formali, anche da parte di BLOOM».

L’analisi dei dati contenuta nello studio rivela che «Tra il 2009 e il 2017 (periodo coperto anche dall’analisi delle immagini), solo il 7% delle catture certificate MSC proviene inequivocabilmente da una pesca sostenibile, vale a dire la piccola pesca costiera, composta da imbarcazioni lunghe meno di 12 metri che utilizzano attrezzi con un impatto molto limitato sull’ambiente. Questi metodi di pesca “passivi” includono, ad esempio, i palangari, le nasse, la rete e gli ami»

BLOOM conclude; «Il marchio MSC è diventato un ostacolo alla pesca sostenibile e nasconde la sua realtà ai consumatori. Non lasciamoci ingannare più. Queste rivelazioni sono solo la prima parte del nostro programma di ricerca. In un momento in cui tre pesci su quattro vengono venduti in una superficie commerciale media o grande, è essenziale esercitare insieme una pressione continua sulla grande distribuzione perché è proprio quella che, alla fine, si nasconde dietro l’etichetta MSC che ci offre i cosiddetti pesci “sostenibili”. Questa lotta sarà lunga ma non molleremo fino a quando Carrefour, Leclerc, Picard e altri non taglieranno i legami con questo label ingannevole e non offriranno in cambio indicazioni sistematiche e chiare che consentono di scegliere il pesce proveniente dalla piccola pesca costiera».