La pesca illegale in Toscana secondo ENSAMBLE

Ambientalisti, Capitaneria e pescatori fanno il punto su un fenomeno in evoluzione

[4 Giugno 2021]

La pesca illegale e “irresponsabilmente legalizzata” continua a farla da padrone nel Mediterraneo. Sulla base degli ultimi dati disponibili (2017), molte specie di pesci ancor oggi ampiamente presenti sulle nostre tavole, presentano diversi livelli di minaccia di estinzione: sorge il dubbio fondato che le politiche per il mare e i suoi abitanti continuino a dare all’economia lineare (che massimizza e privatizza profitti e socializza costi e perdite) la precedenza su ecologia ed economia circolare, producendo normative e atti regolamentari inadeguati alle crescenti e sempre più urgenti necessità di tutela ambientale.
Da questa riflessione è nato l’incontro organizzato il 24 maggio nell’ambito del progetto ENSAMBLE e che ha visto protagonisti del dibattito Antonino Morabito (responsabile fauna e benessere animale di Legambiente), Umberto Mazzantini (responsabile mare di Legambiente Toscana), C°1ª Cl NP/PES Luigi Di Benedetto (Direzione marittima di Livorno) e Massimo Guerrieri (Cooperativa San Leopoldo, in rappresentanza del settore pesca).

Ed è stato proprio Morabito ad introdurre il tema della pesca illegale: «Terzo grande illecito ambientale che colpisce le aree marine italiane (preceduta solo da inquinamento e cementificazione delle coste) e che si inserisce in una situazione di per sé già critica, con un quadro normativo che, pur avendo introdotto dei paletti per limitare la pesca eccessiva, non riesce ancora ad ottenere risposte veramente efficaci.
I dati parlano chiaro: l’ultimo “Stato dell’Ambiente” di ISPRA (2017) dice infatti che oltre del 90% degli stock ittici del Mediterraneo sono soggetti a sovrasfruttamento, con specie che, pur essendo concretamente minacciate (ad esempio l’anguilla), vengono ancora pescate. Una pressione che non solo inficia la sopravvivenza di specie in pericolo ma che mette a rischio alcune di quelle che, attualmente, sembrano non correre rischi».

Morabito ha sottolineato: «La fauna ittica quindi diminuisce, mentre la plastica aumenta, sia in acqua che all’interno dei tessuti di molte specie pescate, entrando quindi di fatto nella catena alimentare. Così come aumenta la richiesta di cibo, da parte della popolazione mondiale, in costante crescita secondo un modello economico prettamente lineare. In questo ambito la pesca illegale, praticata in luoghi, tempi e modalità vietate, trova ampio spazio, avvantaggiata dalla scarsa coerenza che vi è fra le informazioni scientifiche di cui disponiamo e l’entità delle sanzioni che scegliamo di comminare per le trasgressioni.
Mazzantini ha evidenziato che di questo fenomeno soffre particolarmente l’area dell’Arcipelago Toscano,

dove spesso si riscontrano illeciti legati ai quantitativi di pesce pescato, alla mancanza di autorizzazioni o all’utilizzo di attrezzature non idonee. «A questo si aggiunge il bracconaggio da parte di pescatori “sportivi” attrezzati come i professionisti e anche di subacquei e dotati di bombole, che agiscono anche all’interno delle aree tutelate a mare (nell’Arcipelago Toscano esistono vincoli intorno ad alcune isole ma non  l’Area marina protetta prevista dal 1982) perché, anche a seguito dell’abbassamento delle sanzioni amministrative, il ricavo risulta sempre maggiore delle sanzioni che si rischiano. Problema quindi legislativo, a cui si aggiungere quello relativo al necessario potenziamento delle forze dell’ordine (in organici sottodimensionati) e al fatto che né le aree tutelate a mare, né il Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos, nonostante siano formalmente riconosciute, godono delle tutele di cui necessiterebbero».
Per Mazzantini, «Sarebbe quindi importante rafforzare alleanza fra ambientalisti, pescatori e istituzioni locali, poiché stiamo parlando di una risorsa visibilmente finita, che possiamo proteggere solo mettendo in piedi un’iniziativa culturale e sociale, riconnettendo le persone all’ambiente marino, stabilendo norme certe per i pescatori sportivi – visto che nelle isole la pesca e anche una questione culturale, c sociale e a volte di integrazione di reddito per i pensionati – e consentendo alle forze a tutela del mare di fare al meglio il loro lavoro, magari istituendo una vigilanza dedicata esclusivamente alle aree protette».
«Il lavoro che si trova a fare la Capitaneria è infatti enorme – testimonia Di Benedetto – Viene svolto sia da remoto che in mare, ed è indirizzato su due ambiti di controllo principali, ovvero i controlli effettuati durante l’attività di pesca vera e propria (produzione “primaria”) e quelli messi in atto nella fase “secondaria”, che parte dallo sbarco e prosegue con la commercializzazione del pescato (e tutti i passaggi ad essa connessi). A questi si è aggiunto di recente poi un settore nuovo che monitora l’importazione di prodotti ittici da paesi terzi, in porti e aeroporti».
Gli illeciti che si riscontrano normalmente sono i più disparati: pesca in aree protette, utilizzo di strumenti irregolari (come, ad esempio, il doppio sacco a maglie più strette del consentito, che viene apposto sul fondo di alcune reti con la scusa di proteggerle dal danneggiamento per sfregamento sul fondale) oppure pesca al di fuori dell’orario consentito.
Di Benedetto  ha confermato che c’è un trend di illeciti in crescita: quelli compiuti da pescatori ricreativi (64 infrazioni nel 2020 solo a Livorno) che possono essere sanzionati per superamento del quantitativo massimo giornaliero, per utilizzo di attrezzi irregolari oppure per la pesca di esemplari sotto taglia (come avviene, ad esempio, per le arselle).
Una pesca abusiva che fa concorrenza scorretta ai pescatori professionali, che di pesca vivono, e che rispettano il mare e le sue regole. Guerrieri descrive bene il grande sforzo che è stato fatto dai pescatori professionali per adeguarsi ad una gestione responsabile del mare (cosa ben diversa dallo sfruttamento): «I benefici si vedono, senza dubbio, perché imparando ad osservare i cicli e gli equilibri delle specie si pesca meglio e di più! Pazientare e attendere un anno per raccogliere polpi o telline più grandi della taglia minima, ad esempio, presenta un doppio vantaggio: per il pescatore che vende a prezzo più alto e per il sistema che ha tempo di rigenerarsi. Così come risulta fondamentale – e ormai è chiaro quasi a tutti – rispettare le zone SIC e quelle di tutela biologica. Una gestione razionale quindi che sta a metà fra la pura conservazione e il mero sfruttamento, e permette di coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale. Ci è voluto un po’ di tempo per assimilare queste nuove modalità, ma una volta avviata la macchina, i miglioramenti risultano assolutamente evidenti. Ovviamente le pecore nere esistono come in ogni altro settore, sia nel sistema che ai margini.I pescatori sportivi, ad esempio, non hanno lo stesso timore di quelli professionali di infrangere la legge, perché la trasgressione, pur comportando il pagamento di una sanzione, non mette a repentaglio la loro professione. Per i pescatori che vivono di questa attività invece è ben diverso, poiché perdere la licenza può significare perdere il lavoro».
Uno scontro impari quindi questo, che anche l’autorità di controllo fatica a tenere a freno, soprattutto per quel che riguarda il monitoraggio in mare.
Migliori risultati si osservano invece per quel che riguarda la tracciabilità a terra. Sono infatti sempre meno gli abusivi che si rivolgono ad esercizi commerciali per vendere il proprio prodotto, segno che i controlli danno i loro frutti.

Quel che è certo però è che per rispettare il mare e chi ci lavora, è necessario un impegno congiunto da parte di tutti i soggetti che questa risorsa la amano e la vivono.
Risulta quindi fondamentale creare una rete di “attori del territorio” che sia capace di raccogliere, rielaborare e conciliare le varie istanze, perseguendo un unico comune obiettivo: proteggere il mare e TUTTI i suoi abitanti.

Il progetto ENSAMBLE è co-finanziato dal fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).