Il merluzzo di McDonald è insostenibile per la Nuova Zelanda

La pesca reale sarebbe 2,7 volte di più di quanto riportato dai dati ufficiali

[20 Maggio 2016]

La quantità totale di pesci marini catturati  nelle acque della Nuova Zelanda tra il 1950 e il 2010 sarebbe  2,7 volte più di quanto dicono statistiche ufficiali. A quanto pare la differenza  delle catture commerciali non dichiarate è soprattutto nel conteggio del pesce scartato. A dirlo è lo studio  “Reconstruction of marine fisheries catches for New Zealand (1950-2010)”  al quale hanno partecipato ricercatori delle università fdi Auckland, Oxford  e British Columbia.

Si tratta di pesce considerato di poco o nessun valore economico  che viene regolarmente rigettato in mare e non viene segnalato alle autorità.  Anche se le catture accessorie, i pesci catturati insieme alle specie bersaglio , sono comuni  e inevitabili, vengono abitualmente ributtate in mare quando sono invendibili, sotto la taglia minima legale o se il pescatore non ha più quote disponibili per quella specie.

Nella sola Nuova Zelanda, le cifre di questo spreco  per il periodo 1950 – 2013 raggiungerebbero  i 24,7 milioni di tonnellate di pesce non dichiarato, rispetto ai 15,3 milioni di tonnellate segnalate.

Lo studio fa parte di un più ampio progetto di ricerca in Nuova Zelanda volto a informare l’industria della trasformazione del pescato su come diventare il più possibili economicamente e ambientalmente sostenibile.

Il leader del gruppo di ricercatori, Glenn Simmons del New Zealand Asia Institute della Business School dell’università di Auckland, spiega che «Perché la pesca e la stessa industria del pesce siano sostenibili, è necessario sapere quanto pesce viene catturato. Era già molto evidente che non lo sapevamo, poiché le statistiche ufficiali sono incomplete. Le catture non dichiarate e il dumping non solo minano la sostenibilità della pesca, ma si traducono in uso non ottimale delle risorse della pesca e nello speco come rifiuti di  proteine ​​di valore economico».

Lo studio fa parte di una collaborazione internazionale tra 400 ricercatori che hanno cercato di riempire i vuoti lasciati dai dati ufficiali relativi alle catture, un progetto internazionale  che fa capo da 15 anni all’ Institute for the Oceans and Fisheries dell’università canadese della British Columbia e i cui risultati globali sono stati pubblicati su  Nature Communications a gennaio. I risultati per la Nuova Zelanda sono stati pubblicati dall’ Institute for the Oceans and Fisheries.

Ma lo studio ha sollevato un altro problema perché pone seri dubbi sulla sostenibilità del pesce che viene ampiamente utilizzato nei ristoranti McDonald e gli ambientalisti hanno invitato la multinazionale del fast food a togliere dal menù il pesce neozelandese. Infatti lo studio contiene alcuni documenti “riservati” tra i quali anche uno scritto dai funzionari del ministero delle industrie primarie, chiamato Operation Achilles,  che è ora è stato pubblicato integralmente on-line e dal quale emerge che i funzionari incaricati di controllare la correttezza della pesca sono invece preoccupati che i media vengano a sapere quel che loro sanno da sempre: la reale portata delle pratiche illegali nell’industria della pesca neozelandese. Il rapporto dice addirittura: «Lo scenario peggiore a cui potremmo assistere è che una grande company internazionale, ad esempio McDonald, si rifiuti di acquistare il nostro pesce perché non ha un’immagine green»

Negli ultimi anni, fino al 15% dei prodotti ittici McDonald sono stati prodotti con l’hoki (Macruronus novaezelandiae, noto come merluzzo neozelandese) ma la multinazionale ha detto alla BBC che attualmente solo l’8% del suo pesce è  hoki della Nuova Zelanda. La pesca dell’hoki è stato certificata come sostenibile dal Marine Stewardship Council (MSC) e dal 2011, McDonald ha l’etichetta di sostenibilità MSC sui suoi prodotti ittici in Europa. Ma  i sospetti sulla reale sostenibilità della pesca all’hoki in Nuova Zelanda non sono nuovi: il grossista di pesce britannico Waitrose si è rifiutato di fornire hoki a causa del metodo di pesca a strascico per la cattura della specie.

Oltre alle pratiche illegali, il governo neozelandese è accusato di minimizzare l’impatto della pesca a Maui e sui delfini di Hector, una delle specie di cetacei più a rischio di estinzione in tutto il mondo, visto che ormai ne sopravvivono circa 50. Nel 2012, due di questi rarissimi delfini sono stati catturati in una rete da pesca, ma alle autorità è era stata segnalata la morte di solo uno di loro. Nel documento trapelato, i funzionari della  pesca neozelandesi sono chiaramente preoccupati per le ripercussioni di queste attività: «La deliberata mancata comunicazione dei delfini di Hector … potrebbe avere un effetto simile, se non più drammatico, a quello di uno sversamento».

Il governo conservatore ha negato di voler nascondere pratiche non sostenibili e il ministro della pesca, Nathan Guy, ha detto: «Qui non c’è stato alcun insabbiamento. Si tratta documenti di indagini interne dei quali purtroppo ne è trapelata una parte».

Un portavoce di McDonald detto a BBC News che la multinazionale si è fidata del Marine Stewardship Council, che aveva detto che il pesce della Nuova Zelanda era sostenibile e la multinazionale ha scritto in un comunicato: «Comprendiamo l’importanza di proteggere la fauna marina, specialmente le specie in via di estinzione che condividono l’oceano con il pesce che mettiamo nel nostro menu. Ecco perché siamo orgogliosi del nostro impegno globale per i pesci che provengono solo da pesca certificata sostenibile dal Marine Stewardship Council (MSC), anche in Nuova Zelanda. La zona di pesca dell’hoki in Nuova Zelanda è considerata una delle zone di pesca più ben gestite e controllate in tutto il mondo ed è stata una delle prime attività di pesca al mondo ad aver ottenuto la certificazione MSC per la pesca sostenibile».

Ma gli ambientalisti non sono molto convinti da queste rassicurazioni e ora chiedono alla McDonald d togliere dal menu il pesce neozelandese e chiedono alla gente di non mangiare filetti di pesce da McDonald.  Barbara Maas, di Nabu International, una campagna che si batte per la tutela di Maui e dei delfini di Hector, conclude: «La gente può votare con il portafogli e inviare un forte messaggio al governo e alla pesca industriale della Nuova Zelanda. Noi non stiamo attaccando McDonald, hanno una grande opportunità per fare la cosa giusta e portare a qualche cambiamento reale nell’industria della pesca neozelandese. E così  non potrebbero dire di aver salvato i delfini di Maui, e quanto è buono il loro brand?»

I ricercatori fanno notare che le statistiche delle catture che la Nuova Zelanda e altri Paesi riportano alla  Fao non comprendono le catture accessorie e i rigetti commerciali illegali o non dichiarati. Da queste cifre restano fuori anche i pesci presi dai pescatori sportivi e consuetudinari. Ne è venuto fuori che il  pescato marino della Nuova Zelanda tra il 1950 e il 2010 è stato pari a 38,1 milioni di tonnellate, 2,7 volte rispetto ai 14 milioni di tonnellate segnalati alla Fao.  Da quando nel 1986 è stato introdotto il Quota Management System (QMS), il totale delle catture è stato prudenzialmente stimato in 2,1 volte più di quanto riportato alla FAO. Le catture sportive e abituali erano di 0,51 milioni di tonnellate, pari all’1,3%. Solo il 42,5% della pesca industriale in Nuova Zelanda viene effettuato da pescherecci battenti bandiera neozelandese, il 42% viene pescato da pescherecci battenti bandiere straniere, che dominano la pesca di hoki, calamari, sgombri, barracuda e melù meridionale, alcune delle specie meno dichiarate e più scartate.

Lo studio sottolinea che «I risultati rivelano anche come il SGQ, nonostante le sue intenzioni e reputazione internazionale, in realtà mina la gestione sostenibile della pesca dando inavvertitamente incentivazioni sbagliate e  favorendo il dumping».

Simmons ha detto che «Una scoperta sorprendente è stata la quantificazione delle false comunicazioni per evitare costose penalità, sia in mare che a terra Ciò evidenzia una debolezza del SGQ, che si basa sulla segnalazione completa e accurata, ma, in pratica, incentiva dichiarazioni inesatte. I funzionari della gestione e della valutazione degli stock di pesca devono trascorrere più tempo a parlare e ad ascoltare i pescatori  e gli stessi osservatori e responsabili della conformità. L’evidenza dimostra che il SGQ ha bisogno di una robusta revisione critica, insieme  alla presa in considerazione alternative per garantire le ultime informazioni, i processi e le tecnologie in uso. Migliorare la trasparenza e l’affidabilità dell’informazione dei dati sulla pesca è essenziale».

Il ruolo dei Maori in termini di “Kaitiakitanga” o tutela della pesca della  Nuova Zelanda è importante e i rappresentanti del popolo autoctono sostengono che «Il futuro della sostenibilità e della certificazione della pesca dipenderà da come il governo affronta i problemi sella sotto-dichiarazione, che sono stati a lungo un motivo di preoccupazione».