Riceviamo e pubblichiamo

Certificazioni ambientali cave, Legambiente Carrara: «Confindustria smentisce se stessa»

Stupisce che una semplice verifica fatta ricorrendo a fonti ufficiali venga bollata come “gros-solana bugia, causata dall’abituale avventatezza”

[12 Novembre 2020]

Episodio Uno: «È un dato di fatto che oggi tutte le imprese lapidee sia al monte che al piano siano dotate di certificazioni ambientali e di sicurezza» (Confindustria MS, pagina a pagamento sulla stampa del 23 ottobre e articoli poi ripresi dalle cronache locali domenica 25).

Episodio Due: «Nei database ufficiali di Ispra e Accredia risultano solo 11 cave registrate Emas o certificate Iso 14001, pari al 15% delle 73 cave» (Legambiente Carrara, sui propri siti e poi sulle cronache, 27 ottobre 2020).

Episodio Tre: «Da Legambiente bugie grossolane”: le aziende che hanno adottato un sistema di gestione ambientale certificato (Emas e Iso 14001) sono 29 e ulteriori 7 hanno avviato l’iter».

E così, Confindustria, nel tentativo di smentire Legambiente, smentisce se stessa. “Tutte le imprese lapidee sia al monte sia al piano” diventano 29 (e 7 con iter in corso). E quanto alle cave, non smentisce che siano effettivamente 11 ma fa un’operazione algebrica facendole diventare il 70% dei blocchi escavati (sebbene affermi testualmente “il 70% delle cave di Carrara”).

Stupisce che una semplice verifica fatta da Legambiente ricorrendo a fonti ufficiali (gli esperti di informazione la chiamerebbero fact checking) venga bollata come “grossolana bugia, causata dall’abituale avventatezza”.

Com’è nello stile dell’associazione – che da sempre fonda le proprie critiche e proposte sull’ambientalismo scientifico – Legambiente ha utilizzato le fonti ufficiali: e anche dopo l’intemerata di Confindustria ha nuovamente verificato i dati. Risultato? Vengono confermati i seguenti dati, da noi già pubblicati il 27 ottobre (si veda: Cara Confindustria, chi dice bugie? 27/10/20).

Ora: se gli archivi di Ispra e di Accredia non sono stati aggiornati, è a loro (e non a noi) che gli Industriali dovrebbero rivolgere le proprie proteste.

Dubitiamo tuttavia che nel giro di due settimane le cave certificate siano passate da 11 a 29. Riteniamo invece probabile che Confindustria, tra le 29 aziende certificate, abbia conteggiato non solo le cave, ma anche le sedi espositive, i laboratori, gli uffici e le sedi legali: operazione di per sé legittima purché non lasci surrettiziamente intendere che si tratta di cave e, considerato che abbiamo riportato i dati ufficiali, non si permetta di accusarci di bugie grossolane.

Quello che è certo è che anche nell’ultimo comunicato, a differenza di quanto fatto da noi, Confindustria non fornisce alcun elenco delle aziende certificate; che per portare la percentuale al 70 % fa un’operazione di ricalcolo dei volumi; che, come si evince dalla sua stessa replica, la sua prima affermazione (“tutte le imprese lapidee”) non era veritiera.

Anche l’operazione di ricalcolo dei volumi che porterebbe al 70% le cave certificate appare poi tanto ardita quanto non documentata. Infatti, se fosse vero che il 15% delle cave produce il 70% dei blocchi, il restante 85% delle cave ne produrrebbe solo il 30%. Poiché il dato appare inverosimile, invitiamo Confindustria a dimostrare tale affermazione pubblicando l’elenco delle cave certificate e della relativa produzione di blocchi.

Del resto solo pochi giorni fa la società Ambiente spa, indiscutibilmente una realtà di eccellenza nel campo della consulenza ambientale, nel celebrare i propri 40 anni di attività, scriveva: «Le aziende che hanno scelto di certificarsi ci credono e per questo sostengono dei costi, nella prospettiva di un miglioramento sia della propria azienda, sia della competitività dei loro prodotti, che, grazie alla certificazione ambientale, acquistano valore aggiunto sul mercato. Quindi anche nel rapporto fra marmo e ambiente non siamo più all’anno zero. Anzi, siamo convinti che queste imprese faranno da apripista».

Legambiente non può che essere felice di questo cambio di mentalità e di approccio e condivide la validità dello strumento delle certificazioni. Ma proprio perché siamo convinti che 14001 e Emas siano strumenti estremamente seri, preziosi e “pubblici” (tant’è che le certificazioni ambientali possono essere riportate anche sulle visure camerali) chiediamo chiarezza.

Può farlo supportando le sue affermazioni con dati completi, veritieri e citandone la fonte; evitando di parlare genericamente di imprese o di aziende, anziché di cave (che era l’oggetto del nostro intervento): un’impresa può benissimo essere certificata per la sede legale, gli uffici, il deposito blocchi o la segheria. Ma questo certificato non si estende automaticamente alla cava né a tutta l’attività aziendale. I certificati indicano esattamente il “campo di applicazione”, elencano i siti operativi/produttivi.

Confindustria può prendere spunto da noi che, già nel nostro precedente documento, abbiamo pubblicato l’elenco delle cave e delle relative certificazioni. L’elenco è pubblico per definizione, non ci sono motivi di privacy che ne impediscano la divulgazione. Anzi: il nostro voleva essere anche il riconoscimento a quelle realtà che davvero si sono impegnate. Il nostro elenco è inesatto? È incompleto? Confindustria ben potrà indicare le cave che mancano al momento all’appello. Saremo noi i primi a rallegrarci del fatto che le cave certificate sono ben di più e che a sbagliare sono state Ispra e Accredia.

Se invece tutto questo, che per noi è ancora una volta “rigore” e “capacità di documentare”, viene poi interpretato da Confindustria come “falsità per praticare la violenza verbale” ne siamo dispiaciuti. Non sarà comunque Legambiente a sbattere la porta in faccia a chi accetta un confronto sui fatti.

di Legambiente Carrara