La faccia nascosta del traffico di beni culturali (VIDEO)

Il vero prezzo del furto di arte e storia rivelato dall’Unesco. 10 miliardi di dollari all'anno

[21 Ottobre 2020]

La scorsa primavera la pandemia di Covid-19 ha fermato il mondo e sta risuccedendo, ma il traffico illecito di beni culturali non si è mai fermato, anzi, i trafficanti di beni culturali hanno approfittato della diminuzione della vigilanza nei siti archeologici e nei musei per scavare reperti e rubare nell’assoluta impunità.

L’Unesco, che ha appena lanciato The Real Price of Art campaign, evidenzia che le cifre sul traffico e i furti dimostrano che «L’attrazione per mosaici, vasi funerari, sculture, statuette o antichi manoscritti non è mai stata così forte. Questa pressione della domanda sta contribuendo ad alimentare il mercato illegale di opere d’arte e oggetti d’antiquariato, che ora opera in gran parte online, attraverso piattaforme che spesso trascurano la provenienza originale degli oggetti».

Secondo l’agenzia educativa, scientifica e culturale dell’Onu, il commercio illecito di beni culturali rappresenta quasi 10 miliardi di dollari all’anno e denuncia che «Questo traffico, alimentato dal saccheggio a volte altamente organizzato di aree archeologiche, costituisce una delle principali fonti di finanziamento per le organizzazioni criminali e terroristiche e depreda i popoli della loro storia e identità».

Ernesto Ottone Ramírez, direttore generale aggiunto dell’Unesco per la cultura, fa l’esempio dello Stato Islamico/Daesh che, a cominciare dal 2004, ha «organizzato un saccheggio massiccio e metodico di siti archeologici e musei nelle regioni della Siria e dell’Iraq che erano passate sotto il suo controllo».

Attualmente i flussi illeciti di beni culturali sono ora al terzo posto, in termini di volume, dopo quelli di droga e armi. E non è più solo una questione culturale: «Questo commercio ombra, che prospera nelle zone di conflitto, è diventato anche una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali», fa notare Ramírez.

Negli ultimi 50 anni l’Unesco ha sviluppato un quadro giuridico di riferimento per combattere questo flagello internazionale: nell’ambito delle iniziative per il 50esimo anniversario della Convention on the means of prohibiting and preventing the illicit import, export and transfer of ownership of cultural property adottata nel 1970, l’Unesco ha lanciato la campagna di comunicazione internazionale per sensibilizzare il grande pubblico degli amanti dell’arte sulle disastrose conseguenze di questo traffico. The True Price of Art, immaginata insieme all’agenzia di comunicazione DDB Paris, «prende in prestito i suoi codici dal mondo dell’arte e del design per svelare meglio l’oscura verità dietro certe opere – spiega l’agenzia Onu – Ogni immagine presenta un oggetto in situ, integrato nella decorazione interna dell’acquirente. Un teaser svela crudelmente il dietro le quinte: finanziamento del terrorismo, scavi illegali, furti da un museo distrutto dalla guerra, liquidazione della memoria di un popolo … Ogni annuncio racconta la storia vera di un’antichità rubata in una regione del mondo (Medio Oriente, Africa, Europa, Asia e America Latina)».

Partita ieri su media tradizionali e socialnetwork, la campagna è stata lanciata in vista di diversi eventi importanti, tra i quali la riunione del Comitato della Convenzione (27 e 28 ottobre), il primo International Day against Illicit Trafficking in Cultural Property (14 novembre) e l’international conference (16-18 novembre) organizzata in partnership con il ministero degli esteri della Germania, la Commissione europea e il Consiglio d’Europa, che punta ad analizzare le priorità nelle diverse regioni e a studiare come condividere le soluzioni.

Presentando le iniziative, la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, ha detto che «Il traffico illecito costituisce un vero e proprio furto della memoria dei popoli. Risvegliare le coscienze e rivolgere un appello alla più estrema vigilanza è necessario per lottare contro questa realtà ampiamente sottostimata».

E Ramírez conclude: «La difficoltà di frenare il traffico online, la debolezza delle sanzioni per i truffatori o la vulnerabilità delle aree richiedono ora una nuova mobilitazione internazionale».

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