I piccoli produttori dello Zimbabwe vogliono allevare polli in modo più sostenibile

Rispetto dei diritti del lavoro, pratiche per una migliore sicurezza alimentare e gestione delle risorse naturali al centro del progetto “Inclusive poultry value chain development”

In un paese come lo Zimbabwe, con un’inflazione che sale inesorabilmente dal 2008, arrivando oggi secondo alcune fonti al 600%, e con una situazione politica altrettanto precaria, lavorare con i piccoli e piccolissimi produttori, tra le prime vittime di questo sistema economico sociale, è molto complesso. Ma anche indispensabile. Cercare di rendere sempre più forti, strutturate e meglio attrezzate quelle realtà economiche fatte da allevatori e agricoltori che fanno parte di lunghe filiere produttive, è una delle strade che abbiamo intrapreso ormai due anni fa, prima della pandemia che tutto ha aggravato, con il progetto europeo “Inclusive poultry value chain development project”: la catena di valore dei polli da carne.

Questa filiera è stata proprio uno dei settori in più rapida crescita in Zimbabwe nell’ultimo decennio, con un tasso di crescita stimato del 50% in tre anni (da 88.000 tonnellate nel 2012 a 132.000 tonnellate nel 2014). Tuttavia, il periodo di declino macroeconomico e un’epidemia di influenza aviaria nel 2017, il settore ha registrato un calo complessivo della crescita del 10%. Mentre i grandi produttori sono riusciti ad evitare gran parte dell’impatto, i piccoli e medi produttori hanno registrato un forte calo della crescita.

La maggior parte della produzione di polli da carne è ancora realizzata da piccoli produttori e quindi la loro ripresa è vitale per una crescita inclusiva del settore: i grandi produttori forniscono al mercato formale (principalmente supermercati, macellerie e ristoranti) circa 2.600-3.000 tonnellate di carne di pollo al mese, mentre i piccoli produttori vendono circa 6.000-6.500 tonnellate al mese.

Tuttavia, nonostante il fatto che i piccoli produttori su piccola scala siano stati gli attori chiave del settore avicolo in Zimbabwe, la produttività rimane sottostimata rispetto alle potenzialità con scarsa qualità, alti costi delle transazioni e mercati insicuri. Una caratteristica importante della catena di valore dei polli da carne in Zimbabwe è il suo alto grado di integrazione verticale con le grandi aziende che sono in grado di controllare i fattori chiave della produzione, quindi l’integrazione del piccoli produttori in sistemi di allevamento, articolati con il sistema finanziario e con la catena di trasformazione e distribuzione, tipo hub, rappresenta una possibile soluzione ai mercati insicuri (volatilità dei prezzi) e ad alti costi di produzione (mangimi, trasporto e burocrazia), più il rispetto di standard di qualità (HACCP ed aspetti legali).

Il progetto “Inclusive poultry value chain development project”, che lavora in ben 25 distretti, è parte di un complesso e ampio programma del Governo nazionale dello Zimbabwe cofinanziato dalla Unione europea che mira a sviluppare un settore agricolo più diversificato ed efficiente e che promuove la sostenibilità ambientale e sociale. L’obiettivo generale del progetto e contribuire alla costruzione di una catena di valore del pollame più efficiente, e di conseguenza aumentare la crescita economica del Paese in modo sostenibile.

Per raggiungerlo, il progetto sta cercando di avvicinare di più i vari attori della filiera – produttori, trasformatori, distributori e commercianti – e soprattutto di inserire alti standard di qualità, rispetto dei diritti del lavoro, pratiche per una migliore sicurezza alimentare e gestione delle risorse naturali, incentivando tecniche ambientalmente più sostenibili.

In particolare sono stati promossi dei modelli di produzione di mangimi replicabili che riducono il loro costo (di grande impatto sulla produzione finale) come ci racconta Tafadzwad Charumbira del distretto di Goromonzi, che è entrata nel progetto con 3000 polli da carne e oggi ne ha 5000 e che è arrivata a produrre in modo autonomo ben 17,5 tonnellate di mangime: “Ho usato semi di girasole, mais tritato e fagioli di soia macinati. Questo tipo di mangime è stato inviato al Feed Mix (ente preposto alla qualità) ed è stato approvato. Oggi posso risparmiare 160 dollari per tonnellata di cibo. In questo momento sto formando 30 agricoltori della mia comunità per creare il loro proprio mangime con le risorse disponibili vicino alla loro fattoria”.

di Cospe per greenreport.it, foto di Francesco Bellina