Il rischio sismico in Italia. Che fare?

La sicurezza sismica è uno dei pilastri della resilienza urbana nei confronti dei terremoti. È possibile realizzare un piano d’investimenti su questo? Una recente analisi sostiene di sì

L’Italia è un Paese ad elevato rischio sismico, e infatti, la nostra storia è tristemente scandita da eventi catastrofici; quasi tutte le città italiane, quantomeno sul territorio appenninico hanno la propria storia segnata da uno o più terremoti. L’Ingv (l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) produce periodicamente un catalogo dei terremoti italiano e, nel più recente (Rovida et al., 2016) vengono censiti 4.584 terremoti con un’intensità maggiore di 5,0 e/o magnitudo superiore a 4,0 tra l’anno mille e il 2014.

Analizzando i dati, quello che colpisce, però, è l’elevata mortalità connessa ai terremoti in Italia, soprattutto se la compariamo con quella di territori con rischi sismici più elevati: California e Giappone su tutti. Come mai? Al di là di quello che si può immaginare, gli economisti si sono interessati al topic nei loro diversi aspetti. Un lavoro molto interessante è quello di KeeferNeumayr e Plumper (2011) dove i ricercatori si domandano come mai terremoti con la stessa intensità e con la stessa pericolosità, causano quantità si danni e vittime così differenti tra di loro a seconda di dove accadono: Paese ricco, Paese in via di sviluppo, zona montuosa oppure no, ecc.

KeeferNeumayr e Plumper (2011), nel loro lavoro pubblicato su Word Development, trovano evidenza empirica del fatto che una maggiore sismicità del territorio riduce l’incentivo ad aumentare le risorse da destinare all’edilizia antisimica facendo così decrescere la mortalità. In sostanza, il mercato fallisce come per qualsiasi “prodotto” ove vi asimmetria informativa;infatti, il “prodotto” in questione è la sicurezza sismica degli edifici e, poiché il “consumatore” (famiglia, impresa o Istituzione) che acquista o utilizza un edificio non può “provare” la sicurezza sismica del costruito fino al verificarsi di un terremoto, il mercato fallisce. Secondo gli autori, quindi, se in Italia i terremoti fossero frequenti come lo sono in California o in Giappone la mortalità sarebbe minore. Ovviamente non è l’unica variabile che influenza la mortalità, gli studiosi ne selezionano altre ancor più importanti, una su tutti è il PIL. Si tratta, tuttavia, di un finding interessante che pone delle domande importanti riguardo al comportamento degli individui nei confronti del rischio sismico. È abbastanza diffusa, infatti, l’idea che le popolazioni sovrastimino o sottostimino la probabilità di vivere una catastrofe naturale e questo rende difficile una spinta da parte della cittadinanza riguardo ad un corretto Policy enforcement da parte delle istituzioni.

A tal fine, in un recente studio, abbiamo fornito un parametro per misurare qual è l’incentivo per il policy-maker italiano, nei confronti di un piano d’investimenti su scala nazionale a beneficio della sicurezza sismica del costruito. Il lavoro “LA VoSL, Value of Statistical Life: Il caso italiano relativo al rischio sismico” si basa su una tecnica statistica molto utilizzata nell’economia dei trasporti e da un nome po’ macabro, ovvero “il valore statistico della vita”, che viene misurato inferendo su “l’ammontare che siamo disposti a pagare, per una piccola diminuzione del rischio di perire a seguito di uno specifico pericolo”; nella fattispecie, tale pericolo è dato dal terremoto. Abbiamo quindi somministrato una serie di domande su un campione selezionato su tutto il territorio nazionale, opportunamente “pesato”, tenendo anche in considerazione la diversità in termini di rischio sismico sul territorio italiano.

 

Campione di 800 individui

 

 

Rischio Sismico

 

Area Geografica (Nieslen)

 

Campione

 

Nord-Est

 

Nord-Ovest

 

Centro

 

Sud

 

1 -Elevato

 

52

 

0

 

62

 

85

 

199

 

2

 

34

 

71

 

40

 

55

 

200

 

3

 

34

 

71

 

40

 

55

 

200

 

4 – Basso

 

34

 

71

 

40

 

56

 

201

 

Totale

 

154

 

213

 

182

 

251

 

800

 

 

La disponibilità a pagare per un incremento di sicurezza riflette, infatti, il grado di tolleranza per il rischio oltre che la sua percezione. I risultati dello studio sono, per certi versi, sorprendenti: il valore stimato, infatti, è molto alto. Gli intervistati sarebbero disponibili a donare alla Protezione Civile 19,13€ per opere di adeguamento sismico che, in ogni caso, diminuirebbero senza annullare il rischio di perire per una catastrofe sismica; tale stima aumenta fino a 25,21€ se si eliminano le risposte di protesta (il campione in questo caso scende a 607).

Ad essere molto interessanti sono alcune peculiarità di tale studio: in primo luogo non si rilevano particolari correlazioni tra eventi passati e disponibilità a donare e, inoltre, non vi è neanche correlazione tra la pericolosità sismica dell’intervistato e disponibilità a donare. In sostanza, le persone non donano di più perché hanno avuto brutte esperienze passate oppure perché vivono in zone ad alto rischio. Gli italiani sarebbero disposti a rinunciare a parte del loro reddito non perché hanno paura di morire ma perché hanno paura di vedere il loro territorio nuovamente ferito dall’ennesimo evento sismico e dall’ennesima tragedia annunciata. Non vogliamo vedere i nostri borghi, le nostre chiese, le nostre piazze, i nostri concittadini, le nostre scuole crollare di nuovo: in sostanza vogliamo preservare il nostro Paese.

di Andrea Rampa per greenreport.it

Le analisi condotte per la stesura del sopracitato studio sono state finanziate nell’ambito del progetto di ricerca”La valutazione economica dei disastri naturali in Italia 2014-2018″, da IRCrES-CNR, IDPA-CNR, IRPI-CNR, INGV, SEEDS, con il supporto di Fondazione Generali