La moltitudine è Megalopolis: le urla e le lacrime di Città del Messico

Ed eccoci nuovamente in una delle più grandi capitali del mondo:  Città del Messico. Quando sorvoli la interminabile distesa di case poco prima di atterrare capisci che si tratta davvero di una megalopoli e che stai per immergerti in una moltitudine di gente, strade, palazzi, persone. Proprio la moltitudine che vogliamo indagare nel nostro progetto internazionale di ricerca artistica e performativa e che incontreremo durante la nostra permanenza in città.

Quella gente che ti sembra essere tutta uguale quando nella fretta prendi i mezzi pubblici, la metropolitana o i piccoli peseros, e ti senti schiacciato nella folla. Quando sali i gradini delle stazioni sotterranee e tutti si accalcano sulle scale mobili o quando rimani imbottigliato nel traffico. Quella gente che però ha un volto, una identità, anche se ormai molti luoghi sembrano uguali, così come le persone, perché le abitudini e i modelli di vita che ci circondano si stanno sempre più assomigliando per effetto della globalizzazione.

Tuttavia le differenze sopravvivono così come alcune caratteristiche di un popolo e dei singoli individui e Città del Messico ci appare comunque unica, così come le prime volte, affascinante, ricca di possibilità, di vita, suoni, musica, colori, una esaltante megalopoli.

La città incarna proprio il modello perfetto di indagine per il nostro progetto che prende il nome appunto di MEGALOPOLIS – creazione performativa nell’era globale.

Progetto che è nato proprio in questa città nel 2012 quando abbiamo condotto un workshop intensivo all’UNAM Università Nazionale Autonoma del Messico. Un anno fa gli studenti con i quali avevamo lavorato al progetto, gridavano il loro NO! Alla GLOBALIZACION, nella Piazza delle tre culture. Piazza in cui convivono la cultura preispanica, quella coloniale e quella contemporanea e dove oggi si trova la sede della UVA, un centro di sperimentazione artistica che basa la sua attività sulla contaminazione delle arti e che ci ospiterà anche quest’anno.

Da questo spunto è partita una approfondita ricerca durata un anno al LIV, il centro di ricerca e formazione che gestiamo a Bologna, che ha prodotto diverse performance con gli studenti dell’International Laboratory Instabili Vaganti, un gruppo internazionale di attori che abbiamo formato e introdotto al progetto. I temi di indagine riguardavano i processi di globalizzazione, massificazione  e mercificazione dell’essere umano. Un’ indagine sull’uomo ridotto a prodotto del consumo, privato della sua identità, solo nella moltitudine.

Abbiamo deciso di cominciare a lavorare a questi temi proprio dopo i nostri innumerevoli viaggi di lavoro. In alcuni momenti il mondo ci appariva come un unico grande luogo in cui le città cominciavano a fondersi e noi stessi sembravamo perderci nella vastità e nella moltitudine di gente, ad acquisire abitudini diverse a mischiare cibo, tradizioni, ricordi, etc. Abbiamo cominciato a chiederci il perché. Era solo l’effetto della velocità con la quale passavamo da un luogo ad un altro o c’era qualcosa in più da prendere in considerazione?

Da queste prime domande è scaturito il progetto e adesso, a distanza di un anno, dal primo seme gettato nella città abbiamo proprio voglia di capire, con strumenti di ricerca più solidi, che cosa può nascere. In questo anno MEGALOPOLIS ha fatto tappa anche in IRAN, a Teheran e adesso finalmente torna a Città del Messico con nuovi stimoli, materiali, raffronti, che svilupperemo all’ENAT, la scuola nazionale di arte teatrale. E’ la seconda volta che la scuola ci invita a condurre un workshop durante l’incontro internazionale delle scuole di alta formazione teatrale, che vede partecipanti provenienti dal Messico, la Costa Rica, il Cile, l’Argentina, la Spagna.

Questa volta abbiamo però la possibilità di portare nel workshop il lavoro al nostro progetto e di compiere una tappa in più nel processo di creazione. Il primo giorno abbiamo 36 studenti, una vera moltitudine, che ben rappresenta la folla di gente presente in questa città. Emergono subito, alcuni temi principali: la lotta per l’affermazione di una propria individualità, la sofferenza per il processo di massificazione, per i rumori della città, per l’inquinamento atmosferico, per i ritmi veloci e per la mancanza di spazio, inteso come spazio fisico e del pensiero. Ne consegue un lavoro di incorporazione dei ritmi, di affermazione dell’individuo sulla massa e viceversa della sua omologazione in questa. Il lavoro fisico diventa molto forte, potente e le voci che questa volta gridano NO! Si moltiplicano nella sala di lavoro in un suono che si propaga negli edifici immensi della scuola e che per un momento copre il rumore del traffico costante. Gli studenti messicani provengono da ogni parte del Paese.

Negli altri stati al di fuori del Distretto Federale (lo stato in cui si trova Città del Messico) la vita è molto diversa, con ritmi lenti, distanze a misura d’uomo, spazi verdi, talvolta foreste, campagne, buon cibo. La Megalopoli è diversa, la gente si affolla nelle metropolitane, piene a tal punto da sembrare come inscatolati, dove il rumore è costante, l’aria irrespirabile, le distanze enormi e tuttavia luogo affascinante, pieno di possibilità, risorse, ricco di cultura.

Tutto questo si riflette nel lavoro finale, una performance intensa, emozionante, indimenticabile per tutti noi. I ragazzi si lasciano guidare alla ricerca della loro identità, della loro caratteristica unicità, con le lacrime agli occhi passando per un  processo che sembra quasi essere di purificazione. Un percorso in cui i corpi parlano mascherando i volti con magliette di marca, esprimendo tutta la difficoltà di un’autoaffermazione nella massa informe in cui i singoli nomi vengono ripetuti più volte al fine di essere presenti. Una performance che ci piacerebbe ripetere e ripetere per perfezionare per trasformarla in un nostro spettacolo e poterla presentare anche in Italia.

Purtroppo non sarà così, gli studenti internazionali torneranno nelle loro scuole e noi ci sposteremo a Oaxaca, città a sud, per una nuova tappa di lavoro al Centro di gestione scenica Tierra Indipendente per condurre un workshop e poi di nuovo a Città del Messico, alla UVA, dove il nostro lavoro è stato molto apprezzato lo scorso anno tanto da richiederci oltre al workshop una lezione magistrale per allievi, studenti, professori e ricercatori. Di questa esperienza rimarranno molti spunti che speriamo di poter concretamente sviluppare ma soprattutto la voglia di poter nuovamente lavorare con una “moltitudine” cosa piuttosto difficile per una compagnia indipendente italiana che non può permettersi una produzione con più di 2/3 attori.

Rimane però anche la speranza di tornare e di poter lavorare nuovamente in strutture come quella del CENART, che ha ospitato l’incontro internazionale delle scuole di teatro, un grandissimo complesso dedicato al teatro, alla danza, alla musica, con auditorium, teatri, sale danza, sale teatrali, in cui i ragazzi che frequentano la scuola possono usare strutture professionali e condurre esperienze internazionali di alto livello come quella fatta con noi. Un luogo in cui c’è spazio anche per la moltitudine a dispetto dei teatri deserti, delle università che non danno spazio alla creazione pratica e dei luoghi “chiusi” della nostra piccola Italia.

Instabili Vaganti per greenreport.it