Non sprechiamola, a partire da un sostegno (solo) alla mobilità pulita

La ripartenza post-Covid è la più grande opportunità per uno sviluppo sostenibile

Il lockdown ha ridotto alcuni inquinanti spegnendo la nostra economia, ma se la riaccenderemo tal quale tutto tornerà come prima: non è una buona notizia

Giunti a quasi cinque mesi dall’inizio della massiccia diffusione del Covid-19 sul pianeta, molti studi scientifici stanno pian piano ampliando la nostra conoscenza sulle relazioni tra inquinamento e coronavirus. Sono due le tipologie di analisi: quelle di tipo retroattivo sono focalizzate sul ruolo dell’inquinamento in termini mortalità e diffusione del virus, mentre quelle di tipo proattivo valutano gli effetti che il coronavirus, e le conseguenti misure di restrizione imposte dai governi nazionali, ha avuto sull’inquinamento ambientale.

Per quanto riguarda le analisi di tipo retroattivo, ad oggi si può dire che l’inquinamento può essere considerato un co-fattore nella letalità del Covid-19, in particolare attraverso una correlazione fisiopatologica tra il meccanismo di azione del virus e gli effetti dell’inquinamento sul nostro sistema immunitario. In Italia, da questo punto di vista, sono in corso studi epidemiologici molto dettagliati che permetteranno in seguito di capire meglio quanto l’inquinamento sia stato determinante nell’alta letalità registrata in alcune regioni del Nord, prime fra tutte Lombardia ed Emilia Romagna. Questo perché, ovviamente, l’inquinamento non è l’unico fattore ad aver giocato un ruolo nella letalità del coronavirus.

Per quanto riguarda la possibilità che l’inquinamento abbia potuto agire da vettore del virus, aumentandone quindi la sua contagiosità, ci sono ancora dubbi. Ad alcune analisi che mostrano forti correlazioni statistiche hanno ribattuto studi contrastanti. Questo non fa altro che sottolineare come le evidenze scientifiche arrivino molto spesso alla fine di un percorso fatto di scambi di idee contrapposte che si susseguono, andando sempre di più a delineare quello che poi sarà il responso finale. Serve quindi tempo e, in questo caso specifico, più robustezza nei dati statistici che sono stati finora a disposizione di ricercatori e scienziati.

Gli studi proattivi stanno invece pian piano mostrando come il lockdown abbia ridotto l’inquinamento atmosferico in molte aree del nostro pianeta, ma con una differenza sostanziale tra quelli che possiamo chiamare inquinanti locali e globali. I primi, come ad esempio i particolati (PM2.5, PM10) ma anche i diossidi di zolfo e azoto o il monossido di carbonio, hanno un tempo di vita in atmosfera relativamente breve e quindi si sono immediatamente ridotti con l’avvento del lockdown (riduzione che è stata anche nitidamente evidenziata da immagini satellitari). I secondi, come ad esempio i gas ad effetto serra (CO2, CH4, N2O), hanno invece un tempo di vita in atmosfera molto lungo e per loro il lockdown ha comportato solo un piccola riduzione in atmosfera, visto che – come nel caso della CO2 – si parla di gas capaci di rimanere negli strati inferiori dell’atmosfera circa cento anni.

Ciò che invece accomuna tutti questi studi, sia che valutino l’effetto retroattivo o che valutino quello proattivo, è l’origine dell’inquinamento e il nostro impellente bisogno di ridurlo. Lo sapevamo già prima, ma Covid-19 ci ha fatto toccare con mano tutta la debolezza del nostro sistema dinanzi ad una problematica globale di tipo biologico e quindi naturale.

Ci siamo resi conto come non mai che abbiamo un estremo bisogno di trasformare il nostro attuale modello di sviluppo in un modello di sviluppo sostenibile. Uno sviluppo dove cioè non solo gli aspetti economici ma anche gli aspetti sociali e ambientali assumano peso decisionale. Non abbiamo molto tempo e anzi, siamo già in netto ritardo. Ecco che il coronavirus può rappresentare una grossa opportunità in tutto questo perchè è proprio ora che le nazioni dovranno investire nelle ripartenze dei loro rispettivi sistemi economici.

Allo stesso tempo non ci dobbiamo illudere che Covid-19 ci abbia dato vantaggi in questo senso. Il lockdown ha resettato il nostro sistema produttivo, diminuito i trasporti e ridotto i nostri consumi energetici. Ha cioè spento la nostra economia. Nel momento in cui la riaccenderemo con le stesse modalità del periodo precedente al coronavirus, tutto tornerà come prima. La sfida fondamentale per i prossimi anni è ridurre la nostra dipendenza da quella luce o comunque riuscire a tenerla accesa riducendone l’impatto.

Per l’Italia questo significa una netta riduzione dalla dipendenza dei combustibili fossili, traducibile soprattutto in una mobilità più sostenibile e una forte spinta verso il rinnovabile. In particolare, un nodo cruciale sembra essere proprio quello dei trasporti dove l’Italia è chiamata a ridurre il numero di veicoli con motore a combustione, principale fonte di emissioni.

Ciò significa incentivare automobili elettriche, cosa che sta avvenendo in molti altri partner europei, prima fra tutti la Germania che con un maxi-pacchetto da circa 130 miliardi di euro ha pianificato una forte spinta verso lo sviluppo delle auto elettriche, lasciando senza incentivi i veicoli alimentati a benzina e diesel. Il piano prevede anche l’espansione della rete di centraline di ricarica e della produzione di batterie.

Questa netta spinta tedesca verso la mobilità elettrica accompagna soprattutto il processo che Volkswagen sta portando avanti a livello globale negli ultimi anni, e cioè quello di puntare tutto su veicoli elettrici e ibridi. In questo senso, il piano di Berlino non fa altro che sostenere lo sforzo fatto dall’azienda automobilistica tedesca.

Per il momento in Italia, per fronteggiare la crisi, diversi emendamenti al “decreto Rilancio” sono stati presentati e sembra che si vada verso incentivi che includono non solo le auto elettriche ma anche gli standard Euro 6, che però emettono ancora grandi quantità di inquinanti atmosferici. Per questo motivo un gruppo di associazioni per la tutela dell’ambiente e della salute ha recentemente lanciato un appello chiedendo al Governo italiano di seguire il modello di ripartenza tedesco e quindi di togliere incentivi su tutte le auto a diesel e benzina, incluso gli standard Euro 6.

Nel frattempo, da un recente sondaggio dell’European public health alliance si evince chiaramente che i cittadini dei 5 principali Stati europei (Germania, Francia, Spagna, Italia, UK) non vogliono tornare ai livelli di inquinamento precedenti al Covid-19. Per evitarlo si dicono favorevoli all’implementazione di misure di mobilità sostenibile cittadina anche se questo comporterà l’utilizzo di spazio pubblico per supportare tale implementazione. In Italia soprattutto, si sarà più predisposti ad usare la bici per andare a lavoro.

Adesso spetta ai governi rendere tutto ciò possibile. La sensazione è che la ripartenza dopo la crisi da coronavirus possa rappresentare la più grande opportunità avuta da mezzo secolo a questa parte per virare forte verso uno sviluppo sostenibile, volto a soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità di soddisfare quelli delle generazioni future.