Non c’è sviluppo sostenibile senza lavoro, ma l’Italia non ha un piano per la Giusta transizione

Alcune produzioni dovranno essere chiuse, altre fortemente ridimensionate e altre ancora riconvertite: serve un ruolo forte dello Stato, incentivi e garanzie alle imprese non bastano

Si è svolto nei giorni scorsi il 32esimo consiglio del partito dei Verdi europei, dove uno spazio rilevante è stato dedicato ad esplorare il tema della Giusta transizione e su come garantire la neutralità climatica e la giustizia sociale. Il green deal rappresenta infatti un’importante svolta politica che pone l’Europa nella strada verso la sostenibilità, la cura delle persone e degli ecosistemi, l’azione per il clima e l’inclusività.

Il cambiamento necessario per rispondere a tutti gli obiettivi di sostenibilità dell’agenda 2030 dell’Onu, però, è profondo e radicale, per realizzarlo servono investimenti straordinari. Le risorse messe in campo dall’Europa, prima con il fondo per lo sviluppo sostenibile e ora con le risorse del Next generation Eu e del bilancio pluriennale, per quanto importanti, da sole non sono sufficienti. Inoltre sono necessarie misure per la tutela dell’occupazione.

Il meccanismo europeo per la giusta transizione è pensato per garantire sopratutto i lavoratori e le comunità delle regioni a forte dipendenza dai combustibili fossili. La transizione ecologica e sostenibile, però, riguarda tutti i settori economici, la produzione energetica da fonti fossili ma anche l’agricoltura, le industrie energivore, l’automotive, ecc. Alcune produzioni dovranno essere chiuse, altre saranno fortemente ridimensionate e altre ancora affronteranno una riconversione verso l’economia circolare, l’uso efficiente delle risorse e la decarbonizzazione.

Per rispondere a questo straordinario cambiamento nel mondo del lavoro occorre pianificare una nuova politica industriale, creare nuovi posti di lavoro sostenibili, garantire ammortizzatori sociali universali e una formazione permanente che colleghi le competenze dei lavoratori ai bisogni della nuove filiere.

Serve un ruolo forte dello Stato, che non si può limitare a erogare incentivi e garanzie alle imprese, ma che deve assumere un ruolo da protagonista individuando le priorità e i settori strategici, che faccia investimenti diretti in ricerca e sviluppo tecnologico, nella transizione energetica, nella mobilità sostenibile, per gli ecosistemi, ecc. e anche per la creazione diretta di posti di lavoro.

Il Governo italiano non sembra particolarmente preparato alla sfida, né al rispetto degli obiettivi verdi necessari per avere accesso alle risorse europee. Gli aiuti alle imprese, durante il periodo della pandemia, sono stati erogati senza nessuna condizionalità ambientale e climatica. Manca la pianificazione strategica che dovrebbero orientare il Piano nazionale di ripresa e resilienza e l’Accordo di partenariato. Per esempio, l’Italia non ha ancora adottato il piano a lungo termine per la decarbonizzazione, intende rinviare la correzione del Pniec per adeguarlo ai nuovi target europei di riduzione delle emissioni, non ha un piano per l’adattamento climatico, non ha una strategia per l’idrogeno e ha ricevuto una messa in mora per non aver presentato la strategia nazionale di riqualificazione a lungo termine degli edifici. Ancora: l’Italia non ha un piano e misure per la giusta transizione e non ha avviato nessun percorso democratico per affrontare questa fase in cui si sta scrivendo il futuro del Paese.

Per accelerare la giusta transizione serve il coinvolgimento ed il protagonismo di tutti. La società civile ha una maggiore consapevolezza sull’emergenza climatica e sulla cura del pianeta e di tutti gli esseri viventi, basti pensare al consenso al movimento dei Fridays for future.

Resta però da verificare la disponibilità di massa al cambiamento degli stili di vita ed a una nuova cultura della cura e della condivisione. Gran parte del mondo imprenditoriale  è ostile e cerca di rallentare il cambiamento anche perché non capisce le opportunità di sviluppo e la crescita di competitività offerte dalla transizione. Si continua a parlare di conflitto ambiente-lavoro ma sarebbe più corretto parlare dell’incompatibilità fra un sistema liberista finalizzato al profitto di pochi e il benessere del pianeta e di tutti gli esseri viventi.

La tutela dell’ambiente e l’azione climatica, ma più in generale il passaggio ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile, creano un saldo occupazionale positivo. Il concetto di giusta transizione è nato proprio per rappresentare l’esigenza di una radicale trasformazione di sistema che assicuri al tempo stesso giustizia sociale e climatica, diritti umani, equità intra e intergenerazionale e di genere, piena occupazione. Spesso i lavoratori dei settori fossili lottano per il loro vecchio posto di lavoro, creando anche contraddizioni interne nel mondo sindacale, per mancanza di una concreta alternativa di lavoro con pari stipendio e pari dignità e per il loro mancato coinvolgimento insieme alle comunità nella trasformazione che dovranno affrontare.

Per superare queste difficoltà oggettive è necessario che il Governo avvii un processo partecipativo e democratico per definire piano e misure per la giusta transizione. In conclusione del confronto organizzato dai Verdi è stata condivisa la convinzione che l’Europa abbia intrapreso la strada giusta, ma anche che resti ancora un lungo percorso da fare e che il tempo a nostra disposizione è finito. Rafforzare le alleanze, le reti, i movimenti e le mobilitazioni, fare massa critica fra chi ha obiettivi comuni è indispensabile per mantenere accesa la speranza e guidare il cambiamento che vogliamo.