Programmi per città sane e solidali, per sopravvivere nella pandemia

Una città a prova di contagio per proteggere sia gli abitanti sia i possibili turisti, in cui nessuno viene abbandonato

La pandemia da Covid-19, dopo i morti che sono ancora in crescita a livello mondiale, sta provocando una recessione economica come non si era vista dai tempi della crisi del ‘29. I mercati finanziari l’hanno anticipata con la caduta del 30% circa tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, e secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) all’inizio di aprile la disoccupazione a livello mondiale aveva già raggiunto i 190 milioni di lavoratori.

Per far fronte alla crisi, il Governo italiano con il recente decreto Rilancio ha stanziato 55 miliardi di cui 26 per le imprese e i lavoratori dipendenti. Insieme al reddito di emergenza si tratta di uno sforzo enorme, ma sempre limitato nei confronti della recessione in atto che, a causa delle misure di distanziamento interpersonale, colpisce soprattutto le città.

Turismo, trasporti e spettacolo sono i settori maggiormente colpiti dalla crisi, e sono anche quelli tradizionalmente più urbani. Il turismo è connesso alla cultura, che si trova (più spesso) nelle città. Quando invece ha la natura come risorsa, sono i centri urbani ad esservi creati accanto. I trasporti sono l’essenza di una città per garantire la comunicazione interna, ma ogni grande città è anche un hub per la comunicazione da e verso l’esterno, con porto e aeroporto. Anche lo spettacolo vive di densità e diversità, qualità tipicamente urbane.

Sono attività strategiche nell’economia urbana perché più o meno legate alle esportazioni. Si tratta della “base economica” della città, cioè il motore che porta soldi dall’esterno e mette in moto tutti gli altri settori, e all’inverso provoca disoccupazione a catena. Perciò queste attività vanno sostenute. L’eccesso di turismo è un problema che per ora va accantonato, per riprenderlo successivamente anche con una diversa normativa sugli airbnb, classificando l’affitto breve come destinazione d’uso diversa dalla residenza, con tutte le conseguenze urbanistiche del caso.

Sulla durata della crisi si fanno varie ipotesi, in riferimento al grafico dell’andamento del Pil: quella a V, con una caduta e una ripresa immediata, a U – con una caduta, una stasi al livello più basso e poi una risalita – e infine la peggiore. Quella a L, con una caduta e una stasi ai livelli bassi per lungo tempo. Su questa ultima ipotesi sembrano basate le teorie che vedono nell’attuale situazione una cambiamento epocale destinato a durare: nessuno prenderà più un volo, quindi fine del turismo, gli abitanti potranno ripopolare i centri storici, nessuno o pochi sui mezzi pubblici e quindi tutti in bici o a piedi. Su questa base si formulano idee per una nuova città sotto lo slogan “non sarà più come prima”.

Più realisticamente la pandemia finirà, anche se non sappiamo quando, modificando qualcosa nella millenaria esistenza delle città. L’importante è comprendere quali saranno le trasformazioni destinate a  rimanere. Il principale insegnamento del periodo di emergenza è stato l’importanza della gestione rispetto alla quantità e tipo di risorse a disposizione, come nel caso dell’accesso contingentato ai supermercati, col supporto degli strumenti informatici. Si può riconfigurare l’uso degli spazi senza trasformazioni edilizie. In secondo luogo è emersa l’utilità dello spazio pubblico e delle aree verdi: ospedali da campo nei piazzali di fronte agli ospedali, spazi verdi ampi per passeggiare distanziati durante il confinamento.

Flessibilità sembra il metodo da seguire, data l’incertezza sul futuro, anche se all’ente locale si richiede una programmazione degli interventi. Penso principalmente alle città metropolitane che hanno  a disposizione lo strumento del piano strategico, che andrebbe aggiornato e utilizzato per questa emergenza, in modo da affrontare la situazione con una visione sistemica: con l’obiettivo di una città sana, a prova di contagio, per proteggere e tranquillizzare sia gli abitanti che i possibili turisti, e una città solidale in cui nessuno viene abbandonato, anche per mantenere la diversità che è il sale della vita urbana. Ma niente programmi a lunga scadenza. I problemi sono immediati, mentre le grandi trasformazioni dell’uso del suolo richiedono anni se non decenni.

Alla base del programma sta la conoscenza continuamente aggiornata dello stato dell’economia urbana nella fase di crisi: quanti lavorano, quanti lo fanno o potrebbero farlo da casa, chi invece non può lavorare, quanto reddito si è perso, chi percepisce i sussidi, la diminuzione delle entrate per gli enti locali e le conseguenze sui servizi pubblici.

La programmazione si basa su quattro capisaldi: il programma degli spazi pubblici, quello dei trasporti, dei tempi e degli orari, e dell’infrastruttura informatica. Si tratta di quattro aspetti strettamente connessi. Lo spazio pubblico è costituito in larga parte dalle strade ed è usato principalmente per gli spostamenti, quindi destinarne una parte più o meno consistente alle auto incide sui trasporti, mentre la scarsità di risorse pubbliche si può risolvere solo programmandone l’uso nel tempo. Tutto questo, per evitare code e perdite di tempo, richiede una gestione informatica.

I trasporti sono il punto più delicato, dato che, col distanziamento, la capacità del trasporto pubblico è ridotta al 25-30% di quella che era prima. Mentre la mobilità riprende, secondo le rilevazioni di City Analytics, siamo al 70-80% della mobilità di gennaio, con punte del 100% nei piccoli comuni nei dintorni delle grandi città, segno che viene utilizzato il mezzo privato. Dati confermati dal sito di Moovit, secondo cui l’uso del trasporto pubblico in Italia è il 20-25% di quello che era a gennaio. Una situazione preoccupante considerando che in Italia le scuole sono ancora chiuse. Quindi si tratta di ridurre il più possibile gli spostamenti con il lavoro da casa, eliminare i picchi con un programma cadenzato degli orari, gestire il traffico privato attraverso app che indichino il momento migliore per mettersi in viaggio, e per gli spostamenti brevi dare spazio a pedoni e ciclisti.

Questo comporta di conseguenza un aumento dello spazio pubblico da destinare agli spostamenti lenti, alla sosta dei pedoni, e all’uso controllato del suolo pubblico per le attività commerciali. Questo è un pre-requisito di una città sana fatta di spazi pubblici ampi e ben gestiti.  Le aree verdi si sono rivelate un sollievo dopo il confinamento cui sono stati sottoposte le persone. Averne di più sarebbe bene, ma nel breve periodo occorre un programma per la loro manutenzione e cura.

La diffusione dei flussi turistici sul territorio, sempre auspicata, potrebbe essere in questa fase accettata dai turisti come meno pericolosa, anche considerando che probabilmente saranno gli airbnb e soprattutto gli agriturismi a ripartire per primi. La situazione è ancora incerta e quindi occorrono programmi di breve periodo per città sane con ampi spazi pubblici a disposizione in cui si può vivere in sicurezza per far ripartire i settori più danneggiati dalla crisi.