Utopie minimaliste, la rivoluzione dei perdenti

L’ultimo volume dello psicanalista Luigi Zoja parte da un assunto fondamentale: «Ogni faticoso miglioramento delle condizioni della società inizia nella coscienza dell’individuo»

Sono trascorsi migliaia di anni, succedutesi infinite generazioni, ma ancora oggi di tutte le utopie mai disegnate da mente umana forse nessuna ci è al contempo più vicina e lontana come quella scolpita sull’architrave dell’Oracolo di Delfi: «Conosci te stesso». Avanzando con moto confuso, col passare del tempo la storia ci riporta spesso a un punto di partenza, da poter interpretare ogni volta in una luce nuova. È questa la sensazione che si ha nel leggere Utopie minimaliste, fresca fatica dello psicanalista Luigi Zoja. Stavolta, sull’architrave del libro sta scritto: «Ogni faticoso miglioramento delle condizioni della società inizia nella coscienza dell’individuo». Una frase dell’autore che è anche la chiave di lettura dell’intero volume.

Dove sta, dunque, la novità utile al presente? Sta nel fatto che le crisi ambientali, secondo Zoja, non sono solo «un problema materiale ed economico, per quanto gigantesco». Richiedono prima di tutto «un approfondimento morale della psicologia collettiva e degli impulsi, ben più istintivi che razionali» da cui sono dominate. Lo stesso dicasi per la crisi economica in corso. «Ancora prima di diventare un problema sociale e politico – rincara Zoja – l’assurdità delle scelte economiche umane è un problema psicologico. Non possiamo affidarci a nessuna utopia, sperare in nessun cambiamento, se prima non ci fermiamo un attimo, non ci guardiamo dentro e non cerchiamo di agire in modo più cosciente».

Lo psicanalista mette dunque a confronto «due concezioni contrapposte del progresso umano». Quella dell’utopia massimalista, che nel bene e nel male ha dominato il secolo scorso, e quella minimalista, che parte dall’intimità del singolo. «La prima corrisponde soprattutto alla rivoluzione collettiva, la seconda a un rafforzamento della ricerca interiore che è la principale (anche se dispersa, disordinata e spesso inconsapevole) ricchezza delle nuove generazioni, in parte coincidente con l’idea di individuazione». Ovvero, più semplicemente, con quel valore schematizzato da Carl Gustav Jung: «Un processo […] che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale». Il che non significa contrapporre la propria individualità agli obblighi collettivi – altrimenti in Italia almeno il tasso di individuazione sarebbe già alle stelle – ma un’intima valorizzazione della propria natura di singolo essere umano una volta appreso e accettato lo spazio in cui potersi muovere: quello delle regole della comunità. L’individuazione è infatti oggi più che mai, secondo Zoja, un bisogno sociale. «Un’idea di uomo nuovo prodotta dall’esterno è poco praticabile e pericolosa. Una utopia minimalista dovrebbe favorire novità interiori all’uomo, valorizzando doti umane che sono già in lui».

La realtà di oggi, l’unica con la quale possiamo (e dobbiamo) fare i conti ci parla di una società sgretolata, atomizzata. E questo potrebbe paradossalmente trasformarsi in un vantaggio. Per ripartire con la visione di un progetto sociale positivo devono, probabilmente, essere infatti prima portati a compimenti singoli processi di individuazione, per prendere in prestito le parole di Zoja. Ma il fine (anche) sociale di tali processi non può essere dimenticato. «Proprio liberando il territorio interiore avremo compiuto – chiosa Zoja – la più importante preparazione per una società più giusta e meno violenta». E più sostenibile. «L’utopia è un bisogno primario dell’animo umano. Più silenziosamente, torna a manifestarsi anche nel XXI secolo, radunandosi attorno ai problemi ambientali».

Ma in che modo? Zoja ricorda positivamente l’esempio della Pacha mama sudamericana, la divinità-Madre Terra, un concetto che si ritrova analogo nella mitologia preistorica mediterranea ma che ancora oggi rimane vitale Oltreoceano. Sui nostri lidi questo fenomeno sembra sublimarsi nella voglia di comunità autonome, quelle della coltura bio, dell’autoproduzione – energetica e agricola – del riuso, magari della raccolta differenziata e stop. Un tentativo nobile ma anche un vicolo cieco, un fenomeno che è forse individuazione ma che non potrà sbocciare in un respiro politico che abbracci la totalità della società. Senza organizzarsi insieme, la somma di tante buone volontà porta poco lontano; la strada da poter seguire con profitto pare piuttosto un’altra.

«Cercar di conoscere meglio se stessi – osserva Zoja – nel tempo finirà coll’essere anche per la società un contributo più importante che il partecipare a manifestazioni rumorose». Ma «per quanto il punto di vista psicologico si diffonda, è realistico pensare che la maggiore parte dei cittadini sia completamente impreparata allo sviluppo dell’introspezione e dell’autocritica. Probabilmente, il tema dei progressi interiori andrebbe incartato anche in confezioni esteriori. In altre parole, si dovrebbe far conoscere un fatto decisivo, che sfugge al cittadino comune: non solo la soddisfazione interiore, ma anche lo status sociale dipende fortemente dallo sviluppo psicologico». È tempo, dunque, di «chiedersi se tutti quelli che a prima vista sono “perdenti” siano veramente tali».