[19/10/2007] Urbanistica

Di Pietro si arrabbia per il no al Ponte sullo Stretto...

ROMA. Il ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro non ha preso molto bene il voto positivo della Commissione Bilancio sulla chiusura della Stretto di Messina Spa ed il relativo annullamento del contratto, e anche se la cosa era contenuta nel programma dell’Unione che aveva sottoscritto prima delle elezioni, ora paventa un danno economico.

«Sono stati persi 400-500 milioni di euro. Abbiamo fatto una furbizia. Di fatto abbiamo buttato via 500 milioni, abbiamo fatto come i talebani. Difficile ora ricominciare». Per Di Pietro il ponte o doveva evidentemente andare avanti perché ormai 150 milioni erano già stati incassati dalla società Stretto di Messina per il progetto preliminare e nella realizzazione di tre gare. «I vincitori di queste gare – dice il ministro - stanotte brindato a champagne visto che senza spostare un muratore né una cazzuola di cemento intascano un guadagno del 10% per violazione contrattuale e senza pagarci nemmeno le tasse. In Italia funzionano meglio gli uffici legali che non quelli di progettazione».

La pensa in maniera totalmente opposta il presidente di Legambiente Roberto Della Seta: «Finalmente un emendamento che aspettavamo da un anno e mezzo e che rispetta gli impegni presi dalla maggioranza nel programma dell’Unione. Ora i soldi si spendano per le vere e urgenti infrastrutture che il Sud aspetta da decenni e il ministro Di Pietro se ne faccia una ragione. La Sicilia, in particolare, non ha mai avuto bisogno di un ponte che la collegasse alla terraferma, ma di strade sicure e di ferrovie efficienti che la facciano uscire da un sistema di trasporti indegno e preistorico».

Lo scioglimento della Società Stretto di Messina e l´annullamento del contratto per il Wwf «segnano un ritorno alla ragione per l´Italia. Il Parlamento ha preso una decisione doverosa, che il governo fino ad ora aveva invece rimandato: l´annullamento del progetto del ponte sullo Stretto di Messina, un´opera che tutti sapevano essere ad alto rischio economico e ambientale».
Il Wwf ricorda anni di azioni legali, ricorsi amministrativi, denunce alla Commissione Europea che ha aperto una procedura di infrazione contro l´Italia, alla Corte dei Conti, alla magistratura penale

«Perché fortemente convinto dell´inutilità dell´opera, costosissima e devastante per l´ambiente – spiega Michele Candotti, segretario del Panda - Il Wwf ha chiesto in tutti i modi e a tutti i livelli di fermare il progetto, per evitare uno scempio ambientale e la pesante “tassa del Ponte” che ora gli italiani dovranno pagare di tasca propria. Ma riteniamo che le penali che lo Stato dovrà pagare alle imprese che si erano aggiudicate la realizzazione del progetto siano un´inezia rispetto all´enormità dei danni ambientali che il Ponte avrebbe provocato e, ancor più, alle perdite economiche per lo Stato».

Per il Wwf i costi previsti (4.4 miliardi di euro a base di gara) erano sballati perché non tenevano conto dell’aumento dei costi delle materie prime, dei tempi e delle oltre 35 prescrizioni contenute nella delibera CIPE 66/2003 per limitare l´impatto ambientale: «tutti aspetti che avrebbero portato ad incrementi dai 1,5 ai 3 miliardi di euro. Questo a fronte di un traffico veicolare privato che, secondo le stime ufficiali di Dicoter, organo tecnico del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, raggiungerà al 2032 il modestissimo traguardo di 18.500 veicoli al giorno (crescita alta) o di 10.500 (crescita bassa), mentre il Ponte era progettato per il transito di 100 mila veicoli al giorno, confermando come il traffico stradale (a più alta redditività) sarà per 20 anni estremamente limitato e non sottrarrà quote di domanda al traffico aereo o marittimo locale o di lunga distanza».

Torna all'archivio