[23/10/2007] Comunicati

Una Cina sempre meno contadina davanti alla insostenibilità dell’industria

LIVORNO. Mentre l’Occidente, impaurito dal calo della sua competitività planetaria, litiga su Kyoto e dopo Kyoto e sui costi aggiuntivi che comporterà, la Cina, dall’alto del suo boom economico e costretta dai recenti “incidenti” dei giocattoli tossici e dei cibi adulterati, ha approvato una nuova politica che obbliga gli esortatori cinesi a rispettare regole di rotezione ambientale. Una novità per produttori abituati ad avere mani ambientalmente libere e che, secondo il ministero del commercio cinese, dovrebbe causare un aumento del 5 – 10% i costi di produzione.

Per recuperare l’immagine sporcata del “made in China”, i trasgressori delle nuove regole rischiano una interdizione delle loro esportazioni per tre anni. Le fabbriche cinesi che producono le merci cinesi che hanno invaso il mondo, dovranno quindi dotarsi di depuratori, abbattere le emissioni di gas serra, fare test di compatibilità ambientale. Si tratta delle misure più severe mai prese in Cina per combattere le continue violazioni dei regolamenti ambientali e il ministero del commercio punta sulla sostenibilità ambientale come elemento di competitività e modernizzazione dell’industria cinese.

Multe, chiusure e diminuzione delle quote di esportazione per i trasgressori, dovrebbero convincere i produttori cinesi ad accettare l’aumento di costi, mentre alcune imprese medio-piccole particolarmente inquinanti dovranno necessariamente chiudere perché incapaci di adeguarsi ai nuovi standard qualitativi.
L’inquinante industria cinese ha un urgente bisogno di diventare un po’ più sostenibile, anche per rispondere al colossale cambiamento in corso nella società cinese, dove la corsa al lavoro nelle fabbriche e all’urbanizzazione ha ormai ridotto (dati 2006) al 56% la popolazione rurale del Paese: 737 milioni di persone sugli 1,3 miliardi della popolazione totale.

La diminuzione dei contadini cinesi sembra inarrestabile: erano il 64% della popolazione cinese nel 2001 e il 74% nel 1990. La popolazione urbana ha ormai raggiunto i 577 milioni, il 44% dei cinesi vive ormai in città e questa velocissima urbanizzazione, accompagnata da un’altrettanto rapida industrializzazione selvaggia, ha provoca devastanti problemi ambientali, con tassi di inquinamento delle città che sono fra i più alti del mondo.

Lo sviluppo cinese sembra avere sempre più bisogno di freni ambientali e compensazioni sociali se vuole continuare a correre senza finire contro il muro dell’insostenibilità. Sarebbe bene capire se i nuovi freni funzionano, visto che quelli vecchi, che per insufficienti a fermare la locomotiva cinese in corsa e che però teoricamente esistevano, non sono stati praticamente mai stati azionati dal governo comunista impaurito di disturbare il libero mercato.

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