[24/10/2007] Aria

La Commissione Ue accusa l´Italia di non aver osservato la Seveso bis

BRUXELLES. L’Italia ancora sotto il mirino della Unione europea: la Commissione Ue accusa l’Italia e altri undici paesi membri di non aver osservato la direttiva Seveso bis ( direttiva 96/82/Ce come modificata dalla direttiva 2003/195/Ce) sulla prevenzione dei rischi di possibili incidenti industriali.

Il 17 ottobre di questo anno la Commissione ha inviato un parere motivato agli Stati per non aver adottato i piani di emergenza degli stabilimenti chimici previsti dalla normativa comunitaria.

Questi piani di emergenza esterni riguardano le aree limitrofe ad alcuni stabilimenti industriali che producono sostanze pericolose, sono obbligatori e dovevano essere pronti fin dal 2002 negli Stati dell’Ue -15 e dal 2004 nei 10 nuovi Paesi membri. Ma ciò non è avvenuto e un numero considerevole di questi impianti risulta non in regola.

Complessivamente in tutta Europa esistono quasi ottomila impianti soggetti alle norme di sicurezza e circa la metà è tenuta a elaborare piani di emergenza esterni perché, così come afferma Stavros Dimas Commissario all’ambiente «sebbene non possiamo eliminare il rischio di incidenti industriali nella società moderna, possiamo adoperarci per ridurlo il più possibile e attenuare le conseguenze di tali infortuni».

Ai sensi della direttiva i piani devono prevedere le misure adottate al di fuori degli stabilimenti in occasione di un incidente grave o in caso di emergenza: azioni di attuazione degli effetti nel sito e al di fuori nonché disposizioni intese a fornire al pubblico informazioni specifiche relative all’incidente e al comportamento da tenere. In ciascuno Stato membro spetta alle autorità designate a tal fine (che in Italia è il prefetto ) predisporre i piani di emergenza e provvedere a che siano testati e, all’occorrenza, rivisti almeno ogni tre anni.

In Italia la direttiva 96/82/Ce è stata tradotta dal Dlgs 334/1999 successivamente modificato ad opera del Dlgs 238/2005 per recepire le modifiche apportate dalla direttiva 2003/195/Ce.

La modifica della direttiva si è resa necessaria per dettare nuove misure di prevenzione e un più efficace controllo dopo i gravissimi incidenti di Aznalcollar (Spagna) del febbraio 1998, di Enschede (Paesi Bassi) del maggio 2000 e di Tolosa (Francia) del settembre 2001. Per questo la nuova direttiva da un lato inserisce nuove sostanze indicate come cancerogene e dall’altro riduce le quantità limite di sostanze pericolose che è possibile detenere senza arrecare pregiudizio all’ambiente.

Così, il nuovo decreto si allinea al disposto comunitario: non introduce nuove definizioni legislative ma opera notevoli modifiche, anche ampliando e semplificando il campo di applicazione della disciplina sui rischi di incidente rilevante.

L’assoggettamento alla disciplina dipende dalla presenza di sostanze pericolose e non dall’appartenenza dell’impianto ad una determinata categoria. La normativa dunque, si applica agli stabilimenti dove sono presenti o dove si ritiene che possono essere generate in caso di incidente, sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate in apposito allegato che sono state ridotte da 180 a 50 e che sono accompagnate ad un elenco di categorie di sostanze.

Naturalmente il gestore dell’impianto è soggetto ad alcuni obblighi come l’adozione di tutte le misure necessarie per prevenire incidenti rilevanti e limitarne le conseguenze per le persone e l’ambiente; la dimostrazione di aver preso tutte le misure necessarie; la notifica di tutte le informazioni relative alle sostanze ed all’ambiente circostante lo stabilimento. E inoltre obbligato a predisporre un rapporto di sicurezza che deve contenere anche l’elenco aggiornato delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento e deve essere messo a disposizione del pubblico. Non solo: il rapporto deve dare atto dei piani di emergenza interni e deve fornire alle autorità competenti tutti gli elementi che consentono la elaborazione di un piano di emergenza esterno.
Il piano in questione è secondo la normativa italiana- elaborato dal prefetto ma d’intesa con le regioni e gli enti locali interessati, previa consultazione della popolazione. Viene poi comunicato al ministero dell’ambiente, ai sindaci, alle regioni e alle province competenti nel territorio al ministero dell’interno e al dipartimento della protezione civile.

Ma nonostante anche la presenza delle linee guida per la predisposizione del piano di emergenza (emanate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio del 2005) l’Italia non è riuscita a rispettare i tempi previsti dalla comunità per l’elaborazione del documento. E se non provvede a conformarsi al disposto comunitario rischia di arrivare di fronte alla Corte di Giustizia.

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