[26/10/2007] Consumo

Sono meglio i profitti verdi o i profitti neri?

LIVORNO. «Impacchettando i prodotti freschi con plastica ottenuta dal destrosio invece che dal petrolio, anche la Wal-Mart abbatte i costi. La Alcoa risparmia un centinaio di milioni di dollari l’anno utilizzando meno energia e quindi aiutando l’ambiente». Due buone notizie? Non per Robert Reich, già ministro del Lavoro con l’amministrazione Clinton e ora professore a Berkeley, del quale oggi l’Unità ha pubblicato un intervento con il significativo titolo “Ultime dal capitalismo: le aziende finto verdi”.

Reich sostiene infatti che la campagna di Al Gore contro il riscaldamento globale, che gli è valsa il Nobel per la pace, ha incoraggiato molte grosse imprese a «diventare verdi» e ad assumere un atteggiamento più in linea con il rispetto dell’ambiente. Ma – si domanda l’ex ministro – queste imprese meritano di essere lodate? E’ possibile – prosegue – contare sul fatto che siano le imprese ad indicarci la strada per combattere il riscaldamento globale? La risposta – dice – è: no e poi no.

Una conclusione con la quale però non è possibile concordare. Nel senso che gli applausi si possono anche evitare, ma resta certamente un segnale positivo proprio che le aziende trovino conveniente economicamente (e non potrebbe essere altrimenti) darsi al ‘verde’. In quale altro modo sarebbe possibile riconvertire ecologicamente l’economia? Secondo Reich “è compito del governo” e non bisogna aspettarsi “che e grosse aziende guidino la battaglia contro il riscaldamento globale”.

Giusto, ma se si può concordare sul fatto che devono essere i governi ( e che anzi, siamo in assenza di una governace mondiale) ad orientare l´economia verso la sostenibilità, di certo ciò non può avvenire ipotizzando che le aziende ci rimettano.

Ovvio che è solo attraverso la previsione di un ritorno economico che le grandi aziende investiranno sulla mitigazione dei propri impatti sull’ambiente. Sulla sostenibilità delle loro singole imprese. Non è un caso se le multinazionali americane hanno chiesto (inascoltate) regole più stringenti a Bush, proprio quando si sono accorte che il riscaldamento climatico creava a loro dei danni economici. Dunque quando Reich dice «La Goldman Sachs ha recentemente spinto la Txu a ridurre il numero delle centrali a carbone» e poi aggiunge che però «non è degna di lode, si limita a fare i suoi interessi», non fa altro che confermare che sia proprio questa la strada sulla quale è possibile procedere.

Quale sarebbe l’altra? Ci sarà o no una ragione per cui oggi il Giornale racconta che le case automobilistiche giapponesi stanno facendo i conti con l’auto “pulita”? Il timore – viene spiegato nell’articolo – è che l’obbligo di produrre auto con zero emissioni di C02 venga imposto velocemente, prima del previsto. “Nessuno lo vuole ammettere, ma intanto tutti puntano sull’auto elettrica e la parola d’ordine è quella del minor inquinamento”. Questo cosa significa? Che i costruttori giapponesi si sono iscritti a Greenpeace? Assolutamente no, ma hanno capito che se non si adeguano avranno loro per primi un feedback negativo e quindi si trovano costretti a cambiare strategia. Nell´economia di mercato, che non ci sembra venga messa in discussione da Reich, esiste un’alternativa?

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