[29/10/2007] Consumo

Non di soli Ogm vive l´uomo

LIVORNO. Sulla questione degli organismi geneticamente modificati, si stanno combattendo in questi giorni nuove crociate tra chi vorrebbe vantarne le magnifiche sorti e progressive e chi invece ne vede la fine del futuro di un’agricoltura che rispetti i criteri della sostenibilità. Con l’Europa che si spacca, ma dà il via libera a quattro alimenti ogm, la Francia che annuncia la moratoria e ben 30 sigle in Italia che stanno raccogliendo le firme per un futuro ogm free, e una parte della comunità scientifica che rivendica la possibilità di fare ricerca e di non rimanere al palo.

Uno dei cavalli di battaglia molto utilizzato da parte dei sostenitori delle biotecnologie tout court è quello che da sempre ci cibiamo di prodotti, dal riso al grano passando per il pomodoro, che altro non sono che organismi geneticamente modificati. Affermazione veritiera, dal momento che le pratiche di miglioramento genetico sono in uso da oltre diecimila anni; quello che si omette di dire è però la modalità con cui queste modifiche genetiche sono state ottenuti. Che è poi il vero nodo della discussione.

Nelle pratiche di miglioramento genetico, la tecnica principalmente usata non fa altro che interpretare quello che già avviene in natura, ovvero l’incrocio. Solo che la selezione dei partner viene fatta dal miglioratore genetico. E l’incrocio viene fatto tra specie che hanno caratteristiche complementari o tra specie diverse ma affini ovvero in grado di fecondarsi tra di loro.

L’esempio probabilmente più importante di questa pratica è quello dell’introduzione in specie coltivate della capacità di resistere alle malattie, presente in molte specie selvatiche affini. Con queste pratiche, a differenza di quanto accade con le biotecnologie avanzate, non s’introducono mai nuove funzioni, semmai si modificano quelle già fissate durante l’evoluzione. Una sorta di velocizzazione della selezione naturale delle specie.

Ben diversa quindi dalle tecniche di ingegneria genetica utilizzate per produrre ogm: in questo caso viene inserito un solo gene e il trasferimento può avvenire fra specie che non si potrebbero in alcun modo incrociare naturalmente.
Inoltre a differenza degli incroci fatti per migliorare le specie in cui il risultato è spesso il frutto di molte prove e quindi di tempi lunghi per l’ attesa della caratteristica esterna (fenotipica) desiderata, nell’ingegneria genetica per ovviare al dispendio di tempo, di terreno e denaro, si inserisce insieme al gene desiderato un altro gene che rende la pianta resistente ad un agente tossico per i vegetali, in modo che poste su un terreno contenente quell’antibiotico, si rigenereranno in provetta solo le piante resistenti. Il potenziale problema che potrebbe derivare da questa pratica è allora quello che l’ingestione di un prodotto così trasformato, con la resistenza ad un antibiotico, potrebbe determinare il passaggio del Dna che contiene questa informazione ad eventuali batteri presenti nell’apparato digerente dell’uomo o dell’animale che l’hanno ingerito. Contribuendo a rendere alcuni batteri resistenti ad antibiotici.

C’è poi un’altra caratteristica che hanno queste piante, tra quelle portate a favore dei sostenitori degli ogm in agricoltura: dal momento che i caratteri alterati nell’oltre il 90% delle piante transgeniche è rappresentato dalla resistenza ai diserbanti e la resistenza agli insetti, questo produrrebbe il risultato di avere un minor consumo di sostanze chimiche, per la coltivazione di queste determinate piante. A parte il problema (ancora controverso) delle allergie che sarebbero provocate nell’uomo dall’ingestione delle piante resistenti agli insetti (ottenute trasformando la pianta con un gene, derivante da un batterio, che induce la sintesi di una proteina letale per un gruppo limitato di insetti), c’è poi la dipendenza di questa agricoltura a certi diserbanti. Che ovviamente vengono venduti assieme alle sementi. E che ovviamente sono prodotti dalle stesse aziende che detengono i brevetti delle piante transgeniche con la resistenza a quel determinato tipi di diserbante.

E le piante transgeniche vengono considerate assolutamente equivalenti alle piante naturali per quanto riguardo i controlli, in base al principio della sostanziale equivalenza che si richiede di adottare per ricevere permessi di coltivazione e commercializzazione, ma poi assolutamente differenti per quanto riguarda la proprietà intellettuale e quindi i brevetti che le coprono. A proposito di interessi precostituiti che qualcuno ventila essere in realtà dietro alle motivazioni degli oppositori di queste tecnologie in agricoltura, rei di avere avuto come risultato un analogo fronte bipartisan contrario alla loro introduzione in Italia, rappresentato da Pecoraro Scanio prima e poi da Alemanno, come ministri dell’agricoltura.
Ma se di interessi precostituiti di deve parlare è allora quantomeno d’obbligo citare quelli che stanno dietro una parte del mondo scientifico che invoca alla necessità di fare ricerca e che altro non sono che spinti dalle multinazionali che su questo hanno investito.
E a questo punto torna l’annoso tema della necessità di finanziare una ricerca pubblica che non abbia altro interesse se non quello di portare avanti i livelli di conoscenza scientifica. E che, senza orpelli, possa essere orientata verso la sostenibilità.

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