[29/10/2007] Rifiuti
LIVORNO. Il rogo non autorizzato di rifiuti se infastidisce le persone è reato: la Corte di Cassazione precisa quando le emissioni di fumi e gas provenenti da attività non autorizzata rientrano nel reato penale di “getto pericoloso di cose”.
Con sentenza 23793/2007 la Suprema Corte conferma la condanna del tribunale di Catania nei confronti della Srl Univesal di Motta Sant’Anastasia al pagamento dell’ammenda di 6000 euro per aver depositato in modo incontrollato solventi, vernici, smalti e lana di vetro provenienti dal proprio ciclo di lavorazione, per aver smaltito i propri rifiuti senza l’apposita autorizzazione e per aver provocato emissioni di vapori, gas e fumo atti ad offendere, imbrattare e molestare le persone.
La vicenda ha inizio quando nel corso di un servizio di controllo sul territorio gli agenti notarono una nuvola di fumo proveniente da uno stabilimento. Recatosi sul posto costatarono che all’interno dell’azienda stava bruciando un cassonetto stracolmo di rifiuti (imballaggi, plastica, latte di vernici, solventi, smalti e gomme) prodotti dall’attività esercitata dalla ditta. Non solo: costatarono pure che la ditta non era munita di alcuna autorizzazione per lo smaltimento dei propri rifiuti e che lo stabilimento si trovava a poca distanza da alcune palazzine adibite a uso abitativo.
L’articolo 674 del codice penale prevede il reato del gettito di cose pericolose e stabilisce la pena dell’arresto e dell’ammenda nei confronti di “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”
L’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” sta a indicare (ai fini dell’applicazione del disposto penale) la necessità che l’emissione avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico. Ma per affermare la responsabilità del soggetto per il reato in questione non basta l’accertamento che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio: è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino i parametri fissati dalla legge di settore. Tali principi però, sono applicabili quando le emissioni provengono da attività autorizzata. Dunque se i fumi provengono da attività non autorizzata o addirittura contro la legge come avviene nel caso della ditta di Motta Sant’Anastasia, non è necessario accertare il superamento dei limiti della normale tollerabilità perché, è sufficiente l’astratta idoneità dei fumi a recare fastidio o molestia alle persone. E nel caso catanese l’idoneità c’è perché il cassonetto utilizzato per bruciare i rifiuti è a pochi metri dalle palazzine e può molestare e turbare i suoi abitanti.
La pronuncia della Suprema Corte richiama ancora una volta la situazione attuale del nostro ordinamento: pochi reati ambientali nelle norme di settore, fra i pochi molte sanzioni di tipo pecuniarie e assenza totale nel codice penale di un capitolo ad hoc per i reati ambientali.
All’operatore dunque, se vuole infliggere una sanzione non amministrativa al colpevole non resta che scovare nel codice penale la fattispecie di reato comune che più delle altre si avvicina alla realtà fattuale. E ciò non è affatto semplice, è faticoso e rischia di accentuare più confusione che altro.
La giurisprudenza ha un importante ruolo ma l’assenza di una certezza del diritto ambientale (visto che il testo unico ambientale è in corso di revisione) non rende le cose facili.