[16/03/2006] Consumo

Bonelli (Confindustria): «LŽambiente rappresenta un motore per la ricerca»

FIRENZE. Il viaggio di greenreport.it tra i protagonisti della Toscana di oggi sul tema della crescita, della sostenibilità e dei consumi, prosegue con l´intervista a Vincenzo Bonelli, direttore dell´associazione fra gli industriali della provincia di firenze ed ex direttore di Assindustria Toscana.

Tutte le analisi convergono del delineare la Toscana come regione in stagnazione-recessione economica. Il gruppo di studio «Toscana 2020» prevede un futuro di slow groth (crescita lenta). In questa situazione alcuni parametri, come l’occupazione, sembrano, almeno al momento, andare in controtendenza (Istat). Lo stato dell’ambiente invece, sembra non svincolarsi dalla tenaglia fra salvaguardia e degrado e di non saper imboccare la strada dell’ecoefficienza. Quantità e qualità dello sviluppo, anche in Toscana, sono in continuo cortocircuito (infrastrutture, rifiuti, industria, turismo). Qual è la chiave secondo lei, se ce n’è una, per sintonizzare quantità e qualità, sostenibilità ambientale, sociale ed economica?
«Il dato congiunturale è all’attenzione di tutti ed è preoccupante, anche se si notano lievi segni di miglioramento dell’economia che indicano la strada della qualità e dell’innovazione per sostenere la ripresa. Per quanto riguarda l’ambiente, fortunatamente, la Toscana non rappresenta una criticità e non la rappresentano neanche le attività produttive industriali. Del resto, valutazioni, limiti e indicatori, di tipo specifico, non possono essere presi come esempio assoluto né creare i presupposti per un clima di sfiducia con cui dobbiamo poi fare i conti nel momento delle decisioni. Non ci dobbiamo scordare che la Toscana rappresenta un territorio con particolari caratteristiche di indubbia valenza ambientale (è la regione che ha la maggiore superficie boschiva). Nel contempo le dieci province toscane sono: alcune poco popolate con meno di 100 ab./Km2 (Siena, Grosseto), altre con meno di 200 ab/Km2 (Pisa, Massa – Carrara, Arezzo), altre molto popolate (Lucca, Pistoia), altre ancora come Firenze e Prato densamente abitate. Sono numeri che fanno riflettere, certamente, sulla difficoltà di trovare i necessari equilibri per ridurre i disagi che ogni attività induce, massimizzando i vantaggi sociali quali: diversificazione dell’offerta, l’opportunità di vivere in un contesto di scambi culturali, di turismo, di confronti sociali, di servizi. Sono tutti elementi che rimandano quindi alla necessità di azioni coordinate, proposte che abbiamo caldeggiato nel Patto per lo Sviluppo e che contengono in sè elementi peculiari come la qualità del produrre, la valorizzazione delle eccellenze, la crescita delle conoscenze, lo sviluppo delle infrastrutture, la protezione dell’ambiente, la responsabilità di fare impresa in maniera consapevole. In quest’ottica si va a collocare la nostra proposta sul tema dell’ambiente come fattore di sviluppo e non come vincolo per l’impresa. Nell’ultimo triennio Assindustria Firenze ha sviluppato a livello locale il protocollo nazionale tra Confindustria e ministero dell’Ambiente sullo sviluppo della certificazione ambientale delle imprese, con il Progetto Ecoimpresa. Nel triennio 2003-2005 la nostra Associazione ha promosso su oltre 1700 imprese manifatturiere e di servizi i concetti della protezione dell’ambiente, su oltre 250 le metodiche di gestione ambientale e su 100 l’introduzione dei sistemi di gestione ambientale a di certificazione delle imprese secondo standard ISO 14000 o la registrazione Emas. Difficile convincere, chi non vive la realtà di impresa, che il passaggio dalla gestione ambientale alla sua certificazione è però un costo notevole per le imprese, che se non opportunamente riconosciuto in maniera tangibile con semplificazioni amministrative (l’allungamento dei tempi delle autorizzazioni, riduzione dei controlli, ecc.), agevolazioni fiscali (Tasse locali) e tariffarie (Tia), apertura dei mercati di riferimento (gli acquisti pubblici Gpp, Ecolabels, ecc.) rischia di penalizzare le aziende virtuose. Per questo abbiamo proposto queste evidenze alla pubblica amministrazione, che in alcuni casi hanno poi portato ai protocolli per riconoscere e premiare queste aziende, in particolare le Pmi. Sempre più diffuse, tra le nostre imprese, quelle che immettono sul mercato prodotti nuovi a basso impatto ambientale, che sostituiscono sostanze pericolose con sostanze che lo sono di meno, che prevedono nei manufatti la riduzione di materia utilizzata, che realizzano azioni di recupero energetico. Le strategie messe in campo dal sistema associativo per affiancare le imprese, si sono quindi di pari passo coordinate con altre iniziative concertate con la pubblica amministrazione, anche nel contesto del piano regionale di azione ambientale e del confronto nei Forum di Agenda 21 sulla Provincia.. La sensibilità delle imprese in molti casi parte da lontano: sono evidenti la riduzione della produzione dei rifiuti dai cicli industriali con il recupero sempre più spinto e diverso di materia. Nelle grandi imprese la riduzione del consumo energetico (fortemente attuato negli ultimi anni) ha portato di conseguenza ad una forte riduzione degli impatti ambientali. Certo la parcellizzazione delle attività produttive non giova, tanto che le piccolissime e le micro imprese trovano sempre maggior difficoltà nel condividere le strategie ambientali, tanto più se si parla genericamente di cambiamenti climatici, di natura e di biodiversità, mentre più facile appare l’approccio ai temi dell’ambiente e della salute e della qualità della vita. Qual è la quota di rifiuti urbani realmente recuperata rispetto a quanto fa il sistema industriale? Quale l’efficienza energetica del patrimonio immobiliare e quale la volontà nell’accettare "infrastrutture" necessarie sul proprio territorio? Per sostenere le attività di impresa e per raggiungere nel medio-termine gli obiettivi di qualità ambientale proposti, servono un forte impegno da parte della pubblica amministrazione per la realizzazione delle scelte e delle opere infrastrutturali, ma anche un sostegno per l’innovazione e per la trasparenza degli appalti ed una semplificazione normativa».

Un grande pensatore del secolo scorso ebbe modo di rilevare che la quantità senza la qualità è possibile, l’opposto non è possibile. Ma è possibile pensare e pianificare una crescita quantitativa dell’economia illimitata, sia pure di qualità?
«Certo siamo convinti che per mantenere adeguati livelli di competitività nel contesto di un’economia globale, serva l’impegno imprenditoriale nello sviluppo e nella ricerca sia di nuovi processi, sia di nuovi prodotti e che valga la pena di continuare a percorre la strada delle certificazioni, sia di processo, sia di prodotto, sia di tipo ambientale che di tipo sociale. Segni evidenti che provengono dal nostro territorio ci dicono che le imprese "sane", quelle che mantengono elevanti indici di competitività, non producono in assoluto di più, ma si collocano sempre più in segmenti di mercato di qualità crescente. Innovazione tecnologica e ricerca, formazione, infrastrutture non possono prescindere da un approccio di tipo metodologico che deriva dai diversi protocolli e dai trattati di Roma e di Maastricht, e di recente dalla bozza di Costituzione europea. Inoltre protocolli quali quelli siglati a Kyoto richiedono di uniformare il processo di sviluppo ai temi della sostenibilità ambientale delle attività economiche. In questo contesto si colloca anche il Made in Italy, su cui abbiamo puntato e chiesto azioni di repressione della concorrenze sleale, un Made in Italy che non può limitarsi al solo antico richiamo storico, alla tradizione e all’arte. Quindi ambiente e sicurezza come elementi metodologici per il progresso di queste tematiche, ma soprattutto delle produzioni, considerato anche quanto è in via di proposizione a livello europeo con il VII programma quadro. Tutto ciò nella cornice legislativa, di direttive, di leggi nazionali, di leggi regionali e infine di regolamenti locali, supportati dalla normativa tecnica (norme ISO, EN, UNI, CEI, ecc.) che coniugano l’azione di tipo politico con la regolamentazione dei processi di progettazione, costruzione, collaudo, verifica, ecc. In questo contesto l’ambiente rappresenta un motore per la ricerca, così come la sicurezza dei prodotti, degli impianti e sui luoghi di lavoro. La sostenibilità non è solo un principio ambientale ma anche economico. Un sistema produttivo che si autoregola non conosce recessione».

Le discussioni sulla crescita economica sono sempre e comunque basate sulla misurazione attraverso lo strumento del Pil. Quasi tutti sono consapevoli della incapacità di questo strumento di misurare il livello di benessere e di qualità della vita complessiva (si sommano i mali con i beni). Tuttavia un analogo strumento per misurare la sostenibilità delle attività economiche e dell’uomo sulla natura non è ancora stato attivato (o non è utilizzato). Bilanci ambientali, Contabilità ambientale, Vas, Agende 21, non si incrociano, né si integrano minimamente con le scelte economiche. Il dibattito è strabico, come la lotta politica: sull’economia si discute in termini di indicatori e di numeri, sull’ambiente si discute in termini politico-filosofici e di punti di vista astratti da misurazioni. Come si fa a discutere di quantità della crescita se non sappiamo quanta aria, quanta acqua, quanto territorio, quante risorse abbiamo a disposizione? Come si fa uscire dalle secche dell’ideologia il concetto di sostenibilità se non si sa qual è il limite oltre il quale c’è l’insostenibilità? Non sarebbe il caso che la discussione sul prossimo Piano regionale di sviluppo si facesse partire da come si recupera questo deficit di conoscenza? Cioè, dallo stabilire quali sono i limiti entro i quali deve svilupparsi la crescita economica e, quindi, dove si ritiene prioritario sviluppare scelte di qualità per non superare questi limiti? Non sarebbe il caso di affiancare (anzi, di far precedere) ad uno strumento come il Prs un analogo strumento (Prca, Piano regionale di contabilità ambientale) che metta finalmente anche «la natura nel conto»?
«Migliorare il dialogo e puntare sulla comunicazione, per dare una visione ad ampio spettro, ma anche cominciare realmente a parlare di numeri. Un termovalorizzatore riduce il volume di un rifiuto, un termovalorizzatore recupera l’energia residua da un rifiuto, un termovalorizzatore riduce il fabbisogno di discariche; quindi è un’infrastruttura che può offrire opportunità di ricerca e di innovazione. Positivi gli sforzi che oggi vengono posti in atto da parte della P.A., ma direi anche dai sindacati, di recuperare questo deficit di conoscenza, in maniera che la gente non li consideri solo e come delle grosse "stufe". Pensiamo ad altri indicatori quali la redditività delle fonti energetiche, che sta a significare quanto costi l’unità di energia in relazione alle condizioni contestuali nelle quali viene prodotta. Pensiamo se a fronte dei numeri sin qui detti sulla densità abitativa toscana si dovessero realizzare impianti solari fotovoltaici per coprire il fabbisogno di energia elettrica regionale. Per esempio sarebbero necessari circa 34.700 M€ per istallare 86,8 Km2 di pannelli solari per soddisfare il fabbisogno delle attività produttive e altri 22.700 M€ per installarne altri 57,7 Km2 e soddisfare quindi il fabbisogno del civile e del terziario (escluso commercio e turismo). Come si vede sono cifre astronomiche e quindi impraticabili se solo si pensa ai vincoli territoriali ed ambientali connessi. Per questo sono necessario infrastrutture quali i rigassificatori ed è anche di questo che si deve parlare alla gente nelle riunioni di Agende 21 locali. Per questo si devono valutare con attenzione e con sufficiente completezza di dati, ma anche respingere certe proposte e le relative soluzione ad "effetto", molto vicine alla soluzione "ideale". Giusto quindi fare delle analisi, promuovere delle proiezioni e dei confronti e darsi poi delle linee guida. Non bisogna confondere ecoefficienza con la scelta aprioristica per prodotti e per processi di origine naturale: sarebbe rinnegare la capacità dell’uomo di dominare le leggi della fisica, della chimica e della biologia. Non dobbiamo dimenticarci del riferimento specifico alle infrastrutture, dove il concetto no in my back side vive soprattutto in una realtà regionale fortemente ancorata ai valori dell’arte e del turismo: questo tende a considerare tutto ciò che è produttivo come qualcosa di inquinante. Per questo confidiamo in percorsi "naturali" di aggregazione di filiera, ma nel contempo serve comunque riacquistare una strategia nazionale che veda una reale e autorevole partecipazione dell’Italia ad un percorso europeo per raggiungere obiettivi condivisi, non solo in termini ideologici, ma sostanziali».

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