[02/11/2007] Energia

Petrolio alle stelle: per chi suona la campana della sostenibilità?

LIVORNO. I bollettini dei prezzi del petrolio sulla borsa energetica, indicano ormai un aumento costante e quasi giornaliero: ieri il prezzo si è fermato a 94 dollari, dopo aver raggiunto un picco di oltre 96, avvicinandosi quindi (forse anche prima del previsto) alla cosiddetta “quota psicologica” di 100 dollari a barile.

Sulle cause di questa crescita di quotazioni le opinioni, seppur molteplici, sembrano ormai convergere su una tendenza alla speculazione dettata a sua volta da svariate circostanze, strutturali e non. Tra cui spicca un rapporto impari tra offerta (in calo rispetto alle aspettative) e domanda in continua crescita dettata dallo sviluppo vertiginoso della produzione industriale (e quindi della domanda energetica) delle economie di paesi quali Brasile, Russia e soprattutto India e Cina, il cui fabbisogno è destinato a crescere dell´8-10% annuo, e che importano la maggior parte del petrolio consumato. L´India ha importato 111 dei 145 milioni di tonnellate del petrolio che ha utilizzato l´anno scorso.

Rispetto a questa domanda crescente i paesi del cartello Opec si dividono tra chi non intende aumentare la disponibilità di greggio sul mercato, per mantenere alti prezzi e quindi avere maggiori profitti, e chi invece vorrebbe aprire i rubinetti per evitare che dati gli alti prezzi, l’equilibrio tra petrolio e fonti alternative si sposti sempre più verso le seconde; strada che porterebbe ad una diminuzione della domanda e ad una conseguente caduta dei prezzi. <>.

Quale siano le fonti alternative che l’Opec teme, non è specificato, ma sembra abbastanza ovvio che più che alle rinnovabili, il riferimento sia a carbone e nucleare, che comunque non sono rimaste indenni dall’aumento dei prezzi, dal momento che le quotazioni del carbone sono raddoppiate in due anni, e che l’uranio è dieci volte più caro rispetto a 5 anni fa.

Ma in questo scenario di crescita del costo dell’energia, non sono solo gli speculatori a sfregarsi le mani, l´aumento del prezzo rende infatti economicamente conveniente lo sfruttamento dei giacimenti in mare aperto o in zone critiche. Il costo di estrazione del greggio in nuovi giacimenti si è infatti triplicato negli ultimi 5 anni, arrivando a 15 dollari al barile e la necessità di operare in zone estreme per trovare le ultime riserve porterà a costi sempre più elevati. E infatti Zeno Soave, che è alla guida dell’azienda Socotherm, leader mondiale nella tecnologia per la ricerca di giacimenti in acque profonde, annuncia a fine 2007 un aumento di almeno il 10% del proprio fatturato. Che sarebbe stato ben maggiore se il dollaro non fosse così indebolito rispetto all’euro, altra delle cause addotte per spiegare le alte quotazioni del greggio.

Chi ci rimette e chi ne subirà le principali conseguenze saranno alla fine i consumatori finali, per il classico effetto a cascata: se aumentano gli oneri per le imprese per sostenere la spesa energetica, aumenteranno infatti i prezzi al consumo, così come già stanno aumentando le bollette di luce e gas.

Una situazione che parrebbe ottimale- a parte le immediate e inevitabili ricadute sui ceti più deboli, su cui sarebbe necessario intervenire- per avviare strategie davvero cogenti verso il risparmio, l’efficienza e l’investimento sulle fonti energetiche rinnovabili.

Anche per il fatto che più della crescita del prezzo del petrolio, la vera emergenza rimane quella climatica. E se non bastassero i bollettini scientifici che ci descrivono (con andamento quasi analogo a quello del prezzo del petrolio) scenari inquietanti, sarebbe sufficiente mettere in fila le notizie di cronaca internazionale, che appena finito di raccontare i roghi della California, ci aggiornano sulle sciagure create dalle inondazioni che stanno flagellando il Messico.
Segnali dall’una ( prezzo energetico) e dall’altra parte (emergenza climatica) che chiamerebbero a scelte ben più decisive rispetto a quelle che invece i segnali (timidi e intermittenti) della politica ci indicano.

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