
[02/11/2007] Energia
LIVORNO. Il rialzo record dei prezzi del petrolio ha rilanciato il nucleare come alternativa energetica “economica”, una speranza di qualcuno che rischia di fare i conti immediatamente con la legge della richiesta e dell’offerta e con le tensioni internazionali tra la Russia gli Usa e i loro alleati. Infatti, secondo il giornale russo Kommersant, la Techsnabexport, esportatore russo di uranio, vuole aumentare i suoi prezzi per uno dei suoi clienti più importanti: la società canadese Cameco Corporation.
Il prezzo dell’uranio concesso ai canadesi era finora fissato dall’accordo intergovernativo russo-americano HEU-LEU (highly enriched uranium - low enriched uranium) e non saliva dal 2001 ma i russi non ci stanno più perché i rialzi effettivi sul mercato si sono succeduti. L´accordo HEU-LEU sottoscritto nel 1993 prevede la trasformazione dell’uranio altamente arricchito ritirato dalle armi nucleari russe in uranio a basso arricchimento che può essere utilizzato come combustibile per le centrali nucleari.
Nel 2006, Techsnabexport ha esportato prodotti e servizi per 2 miliardi di dollari, dei quali 730 milioni nel quadro dell’accordo HEU-LEU che prevedeva acquisti di uranio per 8 miliardi di dollari in 20 anni. Il primo contratto tra Cameco, e Techsnabexport risale al 1999 e tra il 2001 e il 2004 é stato completato. La maggior parte dell’uranio è destinato alla corporation canadese, ma i russi vendono uranio HEU-LEU anche ai giganti atomici Areva e Nukem, che ora si trovano tutte e tre a dover esaminare la nuova proposta di prezzi della Techsnabexport, anche se sembrano intenzionati ad accettare le richieste e a proseguire una cooperazione che appare obbligata.
Intervistato da Ria-Novosti, Mikhaïl Stiskin, analista di Troïka Dialog, dice che i canadesi accetteranno le condizioni di Techsnabexport: «Il prezzo di vendita sarà probabilmente aumentato. Il rialzo del prezzo non è vantaggioso per Cameco, ma, tenendo conto del futuro partenariato con Rosatom (l’Agenzia federale russa dell’energia atomica n.d.r) questa società probabilmente accetterà».
Un altro esperto del mercato nucleare, Dmitri Terekhov, di Entente Capital, ricorda che «Al momento della firma di questo accordo non si aveva né crisi energetica né deficit di uranio. In questo momento il deficit di uranio si risente molto sul mercato, è perché i fornitori possono dettare le loro condizioni. I prezzi non sono stati rivisti da lungo tempo e il mercato ha conosciuto diversi rialzi, questo può essere un argomento per l’innalzamento dei prezzi. La domanda di uranio si accresce ad una cadenza vertiginosa e questa tendenza si conserverà».
A spingere la domanda di uranio sono gli investimenti statali in Cina, India ed altri Paesi in forte crescita, affamati di energia a qualsiasi prezzo, così l’uranio, visto come alternativa “pulita” ai combustibili fossili (e alle energie rinnovabili) e che in molti vorrebbero reintrodurre anche in Italia cancellando il referendum di 20 anni fa, si rivela non proprio così economico e disponibile come qualcuno continua ad affermare.
Come accade per tutte le fonti energetiche non rinnovabili, anche il prezzo dell’uranio segue il rialzo del prezzo del petrolio e si rivela una “medicina” di Stato per il global warming ancora più costosa di quanto si pensava. Infatti, ora l’industria atomica già fortemente assistita e statalizzata, oltre a presentare i noti problemi di sicurezza per la gestione delle centrali e delle scorie, deve fare i conti con il rialzo dei prezzi e la nota scarsità di materia prima, anche perché i russi, usciti dalla crisi postsovietica flettono di nuovo i muscoli e più che a smantellare le testate atomiche per fornire uranio arricchito agli americani ed ai loro amici, ora pensano a costruire altre armi atomiche per fronteggiare lo scudo missilistico che Bush sta costruendo in Europa e ad usare l’esca nucleare per attirare dalla loro parte preziosi ma volubili alleati asiatici.