[07/11/2007] Urbanistica

Grandi opere vs grandi manutenzioni... rincorrendo la cicogna

LIVORNO. Quando in questo paese l’economia non gira, si dice che è colpa della mancanza di infrastrutture. Questo si dice al sud (dove alcune infrastrutture in effetti mancano davvero) e si dice al nord, dove più che un problema di carenza è semmai una questione di ingolfamento.
Infrastrutture, ovvero strade, autostrade, ponti, porti, aeroporti, in altre parole un esteso elenco di “grandi opere”, tutte orientate al traffico di lunga percorrenza.

«Le infrastrutture sono la priorità della priorità» ha dichiarato Giuseppe Fontana, presidente di Confindustria Lombardia. Il patrimonio imprenditoriale e la volontà di crescere «non devono essere immobilizzati» dai freni infrastrutturali, ha chiosato la presidente di Assolombarda, Diana Bracco. L’occasione ieri alla presentazione del settimanale Lombardia del sole 24ore, in cui sono stati resi i noti i risultati dell’inchiesta sulle infrastrutture stradali, era troppo ricca per farsela scappare. E ha trovato sponda anche da parte istituzionale con una ritrovata collaborazione tra i vari livelli, nonostante la Provincia sia adesso di colore politico diverso rispetto a Regione e Comune. Il consueto refrain, era la denuncia dei ritardi delle infrastrutture viarie e ferroviarie, responsabili del freno allo sviluppo e che potrebbero portare ad una drastica riduzione della velocità media attuale di 37 km/ora ai 13 nel 2015.

Non ha importanza che il 70% degli spostamenti di tutto il territorio nazionale si sviluppi nelle aree urbane e metropolitane e che soprattutto questi spostamenti incidano assai più di quelli di lunga percorrenza su congestione, inquinamento, e costi per le imprese.
Non ha importanza se il sistema dei trasporti pubblici è ormai tra uno dei fattori di maggiore responsabilità dell’aumento di anidride carbonica in atmosfera offrendo al contempo un servizio inefficace, inefficiente e diseconomico. Non ha importanza se il problema principale del traffico ferroviario è la scarsa rete di treni e ferrovie locali per rispondere alle richieste di spostamento di milioni di pendolari: l’impegno nazionale (perché da lì vengono le richieste) è a chiedere 700 milioni all’Europa solo per l’alta velocità Torino-Lione, che anche se arrivassero tutti, coprirebbero meno del 10% dei costi totali per la parte italiana del progetto. Quando le ferrovie sono costate 19,3 miliardi di euro nel 2006, a fronte di miglioramenti impercettibili (per usare un aggettivo ottimistico) per chi viaggiava o per chi quei treni li deve condurre. Solo per fare un esempio.
E per evidenziare quanto ci sarebbe da fare in termini di manutenzione, quella sì una grande opera pubblica per il paese.

Questo vale per le infrastrutture dei trasporti, delle comunicazioni, delle risorse idriche, solo per rimanere nel campo dei servizi.

Del resto le imprese si lamentano e la politica cerca di dare risposte. Come? Ipotecando ingentissime risorse per gli anni a venire su opere molto onerose, di cui mai è stata verificata la priorità. O per meglio dire, continuando nel solco della legge Obiettivo, che riassume il famoso schema tracciato da Berlusconi nel salotto di Vespa del 2001. Con poche eccezioni.

«La crescita economica non la porta la cicogna - ha detto il presidente di Confindustria Montezemolo - e non la portano tanti anni di non governo».

Un non governo che però dovrebbe, secondo il presidente degli industriali, provvedere a fare opere, investire in ricerca e innovazione, salvaguardare le imprese dal super-euro (che però dipende dal fatto che è il dollaro ad essere debole e quindi non si capisce come potrebbe farlo!) ridurre le tasse, prevedere ammortizzatori sociali e regole elastiche per i contratti di lavoro così da permettere alle aziende di essere competitive (e di non perdere il margine netto dei ricavi).

Insomma «ognuno deve dare il contributo» ha detto Montezemolo al ministro Mussi, rispondendogli a tono per la denuncia sulla scarsità delle risorse finanziarie messe a disposizione della ricerca e della formazione di alto livello. Fermo restando che il contributo pubblico deve essere sempre quello più abbondante. E naturalmente lasciando al contempo mano libera alle imprese, perché si sa come la pensano gli imprenditori sulla politica che vuol mettere bocca.

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