[12/11/2007] Recensioni

La Recensione - I.F.F. 2007 Indice di funzionalità fluviale

Qualche lettore si potrebbe domandare perché parlare di un manuale tecnico, apparentemente solo indicato per addetti ai lavori. La risposta si trova nella parte introduttiva del volume: «l’Iff non è il frutto di progressi tecnologici, ma riflette innanzitutto il grande progresso culturale e sociale compiuto nel Paese». E noi abbiamo voluto sottolineare questo aspetto.

Il fiume è stato il grande protagonista di tutte le fasi della civilizzazione umana: fonte di irrigazione, via di comunicazione, fonte di energia, luogo di lavoro e d’incontro. Ma nella società contemporanea ha perso gran parte di questi ruoli scomparendo dalla vita dei cittadini, in particolare nelle grandi città. I fiumi non si vedono, nascosti da muraglioni di cemento, scorrono per conto loro, come se non avessero nulla a che spartire con il territorio. I fiumi sono scomparsi dall’immaginario collettivo, salvo irrompere prepotentemente quando le inondazioni creano vittime e danni.

Il recupero della cultura del fiume e del suo rapporto con il proprio territorio, la conoscenza delle relazioni fra sviluppo e fiume, la memoria del fiume nelle sue popolazioni sono concetti che devono trovare spazio in una prospettiva di fruibilità ambientalmente sostenibile. In questo contesto devono essere individuati indici ed indicatori che possano evidenziare lo stato qualitativo e funzionale degli ecosistemi fluviali, mettendone in risalto criticità, in modo da fornire la possibilità di indirizzare processi di risanamento e riqualificazione.

Per molti anni per valutare il grado complessivo di inquinamento di un ambiente fluviale, si è ricorsi all’interpretazione di parametri fisici e chimici, tralasciando gli indici biologici di qualità dell’ambiente. Il motivo principale dell’uso di indicatori igienico-sanitari, chimici e fisici, risiede nel concetto di “qualità ambientale” che per lungo periodo, sia comunemente sia nel mondo scientifico, si era affermata: qualità ambientale era sinonimo di qualità della risorsa in funzione dell’uso umano. Quindi anche la politica di gestione delle acque ha cercato di garantire livelli di qualità per i determinati usi, per l’uso potabile, per l’uso irriguo, per l’uso industriale... Questa logica di preservare la qualità in funzione dell’uso della risorsa in molti casi è andata a collidere con la qualità in funzione della protezione dell’ambiente.

Il punto convergente, in sintesi, tra le due interpretazioni, è quello di porre come obiettivo di uso della risorsa quello del mantenimento nell’ambiente fluviale di condizioni tali da garantire un alto livello di qualità per la vita acquatica.

In base a questo nuovo approccio, che in Italia ha visto i primi risvolti applicativi tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, ha assunto sempre maggiore importanza il concetto di “sorveglianza ecologica” della qualità dell’ambiente da effettuarsi attraverso l’ausilio degli indicatori biologici. Le popolazioni animali e vegetali sono i bioindicatori in grado di segnalare gli effetti prodotti dall’inquinamento o dall’alterazione dell’ambiente in cui vivono.

Quindi l’attenzione prima esclusiva verso la matrice acqua, si allarga anche all’ambiente fluviale ed in particolare all’alveo bagnato: alle analisi chimico-fisiche e batteriologiche si affiancano metodi biologici come l’Ibe (Indice biotico esteso) che diventerà analisi di base per determinare il Seca (Stato ecologico dei corsi d’acqua) con il Decreto legislativo 152/99. Le norme, ed in parallelo la cultura sulla qualità degli ecosistemi fluviali hanno avuto processi di maturazione molto lenti, ma ora la soglia è stata varcata. In effetti la Direttiva comunitaria 2000/60/CE (recepita dall’Italia con il Decreto legislativo 152/06) rafforza l’impostazione precedente attribuendo ora priorità al monitoraggio biologico e (nel nostro caso) gli ecosistemi fluviali si osservano in tutte le loro componenti: non ci si concentra più solo sull’alveo bagnato ma si mettono a fuoco le relazioni fiume e territorio circostante riconoscendo il ruolo fondamentale delle fasce di vegetazione riparia.

Viene palesato e ribaltato un convincimento che aveva resistito per oltre 20 anni (dalla Legge Merli): l’inquinamento delle acque non è la sola criticità che colpisce gli ambienti fluviali ma talvolta gli impatti maggiori e più difficilmente risanabili derivano dalle opere di artificializzazione (difese spondali, rettifiche, arginature, taglio della vegetazione..).

Si rafforza sempre più quindi l’esigenza di avere metodi di indagine speditivi per il controllo ambientale dell’intero ecosistema fluviale. Il metodo Iff (arrivato ora alla terza versione) si palesa come uno dei più adatti per economicità e speditezza di indagine (non ci sono strumentazioni sofisticate) e «rappresenta un esplicito riconoscimento al primato della cultura e della conoscenza sulla tecnologia». L’Indice di funzionalità fluviale si pone l’obiettivo principale di valutare lo stato complessivo dell’ambiente fiume e della sua funzionalità, «intesa come risultato della sinergia e dell’integrazione di un’importante serie di fattori biotici ed abiotici presenti nell’ecosistema acquatico e in quello terrestre ad esso collegato».

L’ecosistema fluviale in esame si confronta con un modello ideale di riferimento riconosciuto in condizioni di massima funzionalità, per valutarne l’eventuale allontanamento. Il gruppo di lavoro che ha contribuito all’attuale revisione del metodo Iff, costituito da esperti di Apat, Ministero dell’ambiente, Appa con la collaborazione del Cisba (Centro italiano studi biologia ambientale), si è avvalso di sette anni di applicazione del metodo su oltre 4000 km di fiumi italiani ed alcune esperienze all’estero, per individuare alcune criticità che andavano superate.

In parallelo poi il metodo Iff insieme all’Ibe è stato inserito nell’elenco delle best practices cioè nell’elenco europeo degli indici nazionali ritenuti più idonei per definire qualità e funzionalità degli ecosistemi. Inoltre su indicazione del Ministero dell’ambiente emergeva l’esigenza di contemplare le zone umide, le cosiddette wetlands, nella valutazione della funzionalità fluviale. Avuto il riconoscimento a livello europeo dell’importanza degli ecosistemi umidi per la gestione sostenibile dei bacini idrografici, il metodo Iff è stato adeguato «alle richieste della Direttiva europea 2000/60/CE con un occhio particolare alle zone umide e alla possibilità di applicazione su un vasto spettro di tipologie fluviali non solo italiane».

Ricordiamo che oggi sono in corso di definizione a livello europeo e nazionale i metodi di monitoraggio e classificazione dello “stato ecologico” dei corpi idrici superficiali conformi alla direttiva acque. L’auspicio è che il metodo Iff possa diventare uno di quelli utilizzati per determinare alcuni elementi qualitativi richiesti dalla Direttiva 2000/60/CE. Il volume è diviso sostanzialmente in due parti: nella seconda parte è esplicitato il protocollo di applicazione del metodo utile per i tecnici. La prima parte invece è ricca di concetti di ecologia fluviale che dovrebbero essere conosciuti dagli operatori ma molto interessanti comunque per chi ha l’esigenza di approfondire e comprendere le dinamiche ecologiche che guidano la funzionalità degli ecosistemi fluviali.

In forma sintetica ma con il necessario grado di approfondimento, il fiume viene descritto come parte integrante del ciclo dell’acqua, delineando la sua morfologia, la sua complessità come unità ecosistemica, il ruolo della vegetazione, la varietà delle componenti biotiche ed i rapporti trofici. Questi sono solo alcuni aspetti trattati nel testo, il cui approfondimento aiuta a visualizzare meglio la distanza che oggi ci separa da una corretta gestione degli ecosistemi fluviali.

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