[17/03/2006] Urbanistica

Economia, territorio, comunicazione, partecipazione

Il territorio  e il suo contesto, non sono una risorsa in più di cui occorre tenere conto, ma un modo diverso di guardare allo sviluppo. Un modo che considera l’apporto della società locale e delle istituzioni locali alla produzione di valore economico e di vantaggi competitivi, rompendo con la prassi degli ultimi anni di separare l’economia dalla società, di vedere le “radici” del sistema macroeeconomico esclusivamente nella somma di comportamenti individuali indipendenti, e di separare la storia passata dal calcolo di convenienza del presente.

Attraverso il territorio si riscopre la complessità dell’agire economico, ossia l’impossibilità di chiudere il mondo economico nel rarefatto universo del calcolo e delle valutazioni “razionali” (nel senso positivistico del termine). Il mondo non è riducibile alle astrazioni di uomini soli al comando non si sa di che. Proprio perchè entropia e incerteza sono una parte importante della realtà economica (e anzi, potremmo dire, sono la ragione della esistenza di istituzioni come il mercato e l’impresa) l’agire razionale ha trovato da tempo strade capaci di affrontare la complessità. Queste forme utilizzano intensivamente l’apprendimento evolutivo (attraverso la comunicazione) in tutte le sue forme.

La complessità viene esplorata da azioni sperimentali (rinvii di giudizio, tentativi, esperimenti ed errori) da interpretazioni e verifiche, da convincimenti che sono condivisi attraverso l’interazione e l’interlocuzione sociale. Perciò la partecipazione non è solo un esercizio democratico ma rappresenta il prisma attraverso il quale è possibile orientare lo sviluppo economico in senso ambientalmente e socialmente sostenibile
I risultati della economia partecipata non sono soltanto soluzioni che “funzionano” trovate di volta in volta, ma vengono sedimentati in una memoria, che plasma l’organizzazione sociale, il paesaggio urbano, le menti individuali in forme capaci di stoccare l’informazione utile.

Il mondo in cui viviamo è pre-adattato (cioè esiste prima  e a prescindere dei singoli soggetti) e per questo la complessità non ci schiaccia (può non schiacciarci), ma entra a far parte (può entrare a far parte) senza danno nella vita quotidiana. Viviamo infatti in contesti ricchi ( anzi ridondanti) di informazione, conservata sottoforma di conoscenze, relazioni, strutture di governance che restano implicite, ma sono attive (possono esserlo) nel momento in cui servono per decifrare la complessità con cui abbiamo a che fare. Inoltre i contesti del nostro vivere quotidiano sono organizzati in ecologie che mettono insieme esigenze, possibilità, strumenti e innovazioni che nel tempo hanno imparato ad evolvere insieme, formando un sistema unitario. Il territorio è un esempio eclatante di questo tipo di ecologie nate dalla co-evoluzione tra persone che sono facilitate (o costrette) ad interagire a causa della contiguità fisica che impedisce il distanziamento, l’indifferenza. Il fatto che i territori siano ciascuno diverso dagli altri non è un accidente storico o culturale che l’economia, soprattutto se lasciata alle proprie dinamiche autonome,  possa eliminare per astrazione. In quella differenza, fra territori, è infatti iscritta l’informazione di un apprendimento evolutivo che ha creato adattamenti sociali ed ecologici diversi.

Per questo, in un territorio dato, non possono darsi “salti di modello” se non a prezzo di scimmiottamenti che si riversano in vulnus ambientali e sociali. Per questo tutte le realtà territoriali in crisi di identità economica possono trovare il bandolo della sostenibilità di un nuovo sviluppo solo attraverso la valorizzazione/evoluzione delle proprie, storiche, “leve” endogene.

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