[13/11/2007] Urbanistica

I comitati e la Toscana

PISA. I comitati sorti spontaneamente negli ultimi anni in tutte le province toscane, e recentemente solo raccolti in un coordinamento dall’iniziativa di Asor Rosa e di altri intellettuali, hanno sicuramente molti difetti.
Si tratta infatti di gruppi di cittadini che si sono mobilitati nella gran parte dei casi contro iniziative viste come minacce alle condizioni del loro vivere quotidiano tradizionale, inteso non solo in termini ambientali, ma anche in termini culturali, come la forma tradizionale di una piazza, l’esistenza di un viale alberato, l’immagine paesaggistica di un borgo o il profilo di una collina.
Non ho visto ancora sorgere alcun comitato per opporsi al dilagante consumo del territorio di pianura operato per fare posto ad insediamenti produttivi, impianti industriali, centri logistici, come, ad esempio praticato, tanto per far nomi, da un comune come Pontedera, di cui si parla, invece, positivamente per le iniziative di introduzione di opere d’arte in città.
Questo perché, evidentemente, quei territori che vengono inghiottiti e per sempre sottratti alla naturalità erano in partenza poco abitati e magari anche poco celebrati.

Un altro enorme difetto, figlio del primo, è che, nella generalità dei casi, i comitati sorgono quando ormai è tardi, in termini amministrativi.
Se si insorge solo quando si vede impiantare un cantiere, vuol dire che si sono saltate, irrimediabilmente, fasi decisive di partecipazione, come le osservazioni agli strumenti urbanistici, o più semplicemente i termini per i ricorsi al T.A.R.. Questo dipende indubbiamente anche da una legislazione che finora ha trattato la partecipazione in termini formali e residuali, senza promuoverla, senza ricercarla preventivamente, come sarebbe invece auspicabile per assicurare agli interventi, e soprattutto a quelli pubblici, un adeguato consenso popolare.
Battaglie tardive rischiano così di diventare forzature amministrative; la ricerca di una legalità sostanziale rischia di scontrarsi con quella formale, ed è il quadro brutto che abbiamo davanti in molti, anzi in quasi tutti i casi.

Ma i difetti, o le colpe dei comitati non sono niente rispetto alle responsabilità del ceto amministrativo locale in Toscana.
Non credo che si possano dare colpe alla legislazione regionale, che viceversa dagli anni ’80 è sempre stata all’avanguardia in Italia: si tratta di vedere come questa legislazione – certamente non dirigistica - è stata concretamente applicata, utilizzando o meno gli strumenti che essa metteva a disposizione dei comuni per fare una corretta pianificazione, vale a dire attenta alla salvaguardia dei valori culturali autentici del territorio, commisurando a questa la disponibilità alle trasformazioni, allo sviluppo.

Se scendiamo nel merito troviamo sicuramente una realtà molto variegata, in cui accanto a pochi comuni virtuosi, ovvero che hanno dato una interpretazione rigorosa alla L.5 del 1995 e poi alla L.1 del 2005, utilizzando gli strumenti delle invarianti strutturali, lo statuto dei luoghi etc., ne troviamo molti altri, che hanno dimostrato una totale sottovalutazione dei valori storici e paesistici di cui erano amministratori, a favore della promozione di sviluppi edilizi dequalificati, in un’ottica di crescente concorrenza territoriale (intercettare residenti, turisti, capitali).

Certo, fa impressione vedere come sono stati conciati borghi storici di crinale, cito fra tutti S. Casciano Val di Pesa ( nella foto), per attrarre abitanti dai centri urbani, sconvolgendo non solo il paesaggio, ma anche una serie di equilibri sociali in termini di servizi, di mobilità etc.

I comuni, in questo frangente storico, non paiono più adeguati a sostenere l’urto delle domande di sviluppo insediativo che traggono alimento proprio dalla qualità del paesaggio in cui si vanno a collocare, e al quale assestano colpi talvolta mortali, anche per una generale inadeguatezza culturale degli operatori.

Se gli enti locali non sono all’altezza del compito loro affidato, di amministratori di quel bene unico al mondo che è il paesaggio storico toscano, come purtroppo credo che adesso sia, vuol dire che siamo in una condizione di emergenza.

Il coordinamento dei comitati ha il grande merito di aver portato in evidenza questa condizione costringendo la Regione Toscana in qualche modo a misurarcisi, anche se di mala voglia.
Il Piano di Indirizzo Territoriale recentemente varato è stato presentato come lo strumento cui sono affidate le risposte a questa emergenza.

Si tratta ora di verificarne l’efficacia. Se, come alcuni sostengono, queste risposte rimangono vaghe ed aleatorie, per non entrare in conflitto aperto con i comuni, allora è solo lo Stato che può e deve porre rimedio al rischio sempre più concreto di consumo della risorsa-paesaggio.

* Riccardo Ciuti è esperto di urbanistica e redattore della rivista Locus

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