
[14/11/2007] Comunicati
LIVORNO. Domani e venerdì sono in programma a Firenze presso il Polo universitario di Novoli gli Stati generali della sostenibilità della Regione Toscana, che permetteranno il confronto con esperti internazionali sulle strategie di adattamento e di mitigazione del danno derivato dagli effetti del cambiamento climatico. L’evento, che diventerà un appuntamento annuale, è stato organizzato dalla Fondazione Toscana sostenibile, di cui è presidente Marcello Buiatti (Nella foto).
Professor Buiatti, cosa sono gli Stati della sostenibilità e perché sono importanti?
«Sono il primo di una serie di appuntamenti periodici annuali in cui la Regione si confronta con la popolazione, ma anche con i rappresentanti di interesse del tavolo di concertazione, sulla strategia da percorre per la sostenibilità in funzione degli effetti dei cambiamenti climatici. Ogni anno poi sarà fatta una valutazione ex post dell’effetto delle politiche regionali. Questo primo appuntamento è importante perché avviene anche per cominciare nella valutazione di cosa si debba fare per adattarsi alle accelerazioni assunte dal cambiamento climatico.
Gli Stati generali della sostenibilità sono quindi un’iniziativa particolarmente originale per l’Italia, perché mettiamo insieme strategie di adattamento e mitigazione del danno, sia sul versante ambientale ma anche su quello economico e sociale: è impossibile trattare il problema ambientale in modo distinto da quello economico e da quello sociale».
Il global warming è un fenomeno ormai acclarato scientificamente, così come la responsabilità che in questo ha l’uomo. Ma cosa può fare una regione come la Toscana di fronte a un fenomeno così grande?
«In effetti dal punto di vista strategico il contributo reale è minimo, ma ricordiamo che può avere anche una funzione di esempio da seguire. Quello che invece sicuramente è importante è l’analisi delle azioni da fare per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico sul proprio territorio: cioè quello che si chiama adattamento. L’adattamento è estremamente importante perché in qualsiasi scenario si vada gli effetti ci saranno comunque. Ogni regione quindi dovrebbe fare come se dipendesse da sé: cercare lo sviluppo ma producendo meno e di migliore qualità. Risparmiando risorse, energia e materia, che oggi invece stiamo buttando via».
La questione energetica è il fulcro del dibattito anche a livello internazionale. In Toscana però ancora non abbiamo un piano energetico regionale e il risultato paradossale è che per esempio per autorizzare a Piombino a una centrale a biomasse da olio di palma importato dall’Indonesia è bastata una determina dirigenziale, mentre per realizzare un impianto eolico c’è un lunghissimo iter burocratico e in 7 anni sono stati costruiti appena 6 parchi del vento».
«Effettivamente questo piano ha avuto una gestazione molto lenta dovuta a varie ragioni, ma la speranza è che ormai il Pier sia in procinto di uscire. Il Pier dovrà dire quali fonti utilizzare, ben sapendo che ciascuna rinnovabile ha le sue contraddizioni, e poi stabilire delle regole. Non è facile farlo e questa lentezza deriva anche dal fatto che neppure a livello nazionale c’è mai stata una strategia generale mirata alle energie alternative, anche perché fino al 2005 queste cose le dicevano solo gli ambientalisti e il resto dei rappresentanti di interesse che sedevano ai vari tavoli di concertazione le ignoravano sistematicamente. Dal 2005 con il Millenium ecosystem assessment e ancora di più con la successiva pubblicazione del rapporto Stern è scattato l’interesse generale. Blair ha semplicemente chiesto: ma quanto ci costerà il cambiamento climatico? A quel punto le cifre sono venute da un economista e non da un ambientalista, e allora tutti si sono resi conto che la perdita di capacità economica sarà enorme».
L’opinione pubblica e gli stakeholders quindi oggi sono molto più consapevoli secondo lei?
«Assolutamente sì. Al termine degli Stati generali della sostenibilità sarà presentato questo documento che è stato elaborato al tavolo di concertazione regionale con tutti i portatori di interesse. Per la prima volta non ci sono stati dissensi e anzi ciascuno ha integrato e corroborato il documento che quindi è diventata una vera e propria piattaforma collegiale. Questo dimostra che l’informazione è fondamentale, a patto che sia informazione corretta e scientifica e che non faccia dell’inutile catastrofismo».
Mentre sui flussi di energia in Toscana e nel mondo si discute molto, ponendo l’accento sull’importanza dell’efficienza e del risparmio, ancora oggi quasi nessuno affronta il tema della riduzione dei flussi di materia, che presuppone un diverso orientamento anche dell’economia.
«Un ragionamento sui flussi di materia c’è per la prima volta proprio in questo documento, parlando di risparmio di materia e di un’economia fondata sulla qualità e non sulla quantità. Per me è un accenno ancora troppo vago, ma forse dobbiamo contentarci, anche perché se subentra il terrore torniamo 3 passi indietro. Nel senso che se per esempio si usasse in un documento ufficiale una parola come ‘decrescita’ otterremo l’effetto di terrorizzare la gente, mentre oggi almeno “risparmio di materia” si può dire perché non fa paura».
Ma cosa può fare concretamente la Toscana per ridurre i flussi di materia?
«Non è difficile, anche se molte delle azioni dovrebbero essere prese a livello per lo meno nazionale. Comunque si tratta di incidere su tasse e tariffe, perché la gente è particolarmente sensibile al lato economico. Nello stesso tempo dovremo investire in un’economia più fortemente basata sull’innovazione tecnologica, sia di prodotto che di processo. Quindi produrre meno ma di maggiore qualità».
Dal punto di vista sociale però questo creerebbe diversi problemi.
«Non hai altri sistemi, non puoi dire a un imprenditore produci di meno e basta. Devi compensare con la qualità e con il prezzo più alto. Se i consumatori cominciano a scegliere i prodotti che durano di più e a snobbare quelli che si sostituiscono dopo 2 anni, il mercato poi è costretto a seguire il nuovo trend. Allora ecco che anche a livello locale si può fare molto, soprattutto in termini di educazione e formazione dei cittadini».
I famosi obiettivi della regione Toscana, raccolta differenziata al 55% e riduzione dei rifiuti del 15% ,si scontrano con una realtà che invece anno dopo anno vede la percentuale della differenziata stagnante, ma vede anche crescere anche la quantità di rifiuti prodotti. Quali azioni concrete può mettere in campo la regione per ridurre alla fonte la mole di rifiuti?
«È la stessa cosa che dicevamo prima. Te hai più rifiuti se produci di più. Appena è arrivato il nuovo assessore all’ambiente Anna Rita Bramerini si è cominciato a lavorare a questo e spero che anche questi stati generali della sostenibilità siano l’occasione per fare il punto della situazione e per illustrare gli strumenti che saranno messi in campo».
Un’ultima domanda riguarda la vertenza aperta con la regione dalla rete dei comitati guidati da Asor Rosa. La partecipazione dal basso sembra oggi prendere una strada diversa, da una parte s’invocano maggiori poteri allo stato, e dall’altra un coinvolgimento diretto della popolazione all’interno delle stesse commissioni tecnico scientifiche che dovrebbero presentare ai decisori il quadro oggettivo sulla base del quale prendere le decisioni.
«La partecipazione dal basso che si è inseguita per anni e che purtroppo non abbiamo mai raggiunto utilizza gli strumenti classici della democrazia, dai consigli di quartiere, fino alla presidenza della repubblica. Così anche ai tavoli di concertazione mica ci vanno tutti, ci vanno quelli che si pensa siano rappresentanti di interessi. Anche i comitati vorrebbero diventare rappresentanti di interesse, a parte Asor Rosa che forse qualche ambizione in più ce l’ha e che comunque interverrà agli Stati generali. In realtà oggi la tendenza è quella di dare origine a qualcosa che sostituisca la partecipazione ufficiale. E che francamente non vedo come un’alternativa credibile al sistema democratico, perché questi comitati, che molto spesso hanno ragione, si ritrovano poi in grandissima difficoltà nel momento propositivo perché non si basano su conoscenze tecniche e scientifiche ma solo su percezioni.
La partecipazione che funziona dovrebbe proprio riuscire a conciliare le loro magari giuste esigenze locali con le necessità locali. E infatti il nuovo approccio su cui si basa il nostro tavolo di concertazione è proprio la messa in primo piano dell’integrazione, rispetto alla contrattazione: i portatori di interesse quindi non giudicano i piani della regione ma concorrono a definirli a monte.
Le faccio un altro esempio concreto: tutti i nuovi piani regionali sono stati per la prima volta incrociati con gli indicatori ambientali elaborati dalla nostra fondazione insieme ad Irpet, e finalmente oggi rispecchiano in toto i parametri di valutazione stabiliti dalle normative europee».