[15/11/2007] Parchi

Regioni e enti locali non possono peggiorare i livelli statali di tutela dell’ambiente

LIVORNO. Sulle competenze ambientali di Stato e regioni è in atto da tempo un braccio di ferro che riguarda spesso la messa in opera a livello locale delle direttive Habitat ed Uccelli dell’Unione Europea e l’attuazione delle leggi sulle aree protette nazionali. Con la sentenza 378, depositata il 14 novembre, la Corte Costituzionale sembra aver messo un altro invalicabile paletto di confine, dando ragione al governo e torto alla provincia autonoma di Trento.

La materia del contendere riguardava la legittimità dell´art. 8 (al comma 14) e 9 (ai commi 2,3 e 11) della legge della provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004, con la quale, secondo il governo, giunta provinciale designava unilateralmente Zone speciali di conservazione (Zsc) destinate a proteggere habitat naturali o seminaturali e specie di flora e fauna selvatiche. Per la Corte Costituzionale l’ambiente è un «bene della vita» ed essendo patrimonio di tutti «le regioni e gli enti locali non possono peggiorare il livello di tutela fissato dalle leggi dello stato e quindi non possono designare i siti da destinare ad “habitat naturali”. Le norme dettate dal Parlamento in questa materia non si piegano neppure davanti agli statuti speciali delle province autonome».

La modifica proposta per la Zsc trentina riguardava anche la possibilità di realizzare una discarica, ma al di là del caso contingente, la sentenza è soprattutto una bruttissima notizia, per tutti quelli che si oppongono al realizzare parchi nazionali o aree marine protette già comprese in leggi nazionali come la 394/91 o la 979/1982 e nei loro successivi aggiornamenti votati dal Parlamento, oppure ne chiedono la modifica dei confini, soprattutto dove questi coincidono con la presenza di Sic, Zps o Zsc previste dalle direttive europee.

Non a caso la Corte Costituzionale, per sostenere ancor meglio la titolarità dello Stato sulla protezione dell’ambiente, fa riferimento ad un’altra sentenza molto più datata: la n. 366, (che, ad esempio, servì da riferimento per respingere tutti i ricorsi contro l’istituzione del parco nazionale dell’Arcipelago toscano presentati da comuni e associazioni) che affermava: «pur in assenza della legge quadro sulle aree protette, le attività ora elencate (e cioè la competenza di individuazione delle aree protette di rilievo nazionale o internazionale, nonché. quelle relative alla loro classificazione e all´istituzione su di esse di parchi nazionali o di riserve naturali statali) rientrano nella competenza del soggetto che deve valutare l´interesse naturalistico che si intende perseguire con la costituzione del parco o della riserva naturale. Sicché, ove l´interesse considerato sia non irragionevolmente ritenuto d´importanza nazionale o internazionale, le competenze relative all´individuazione delle aree, alla loro classificazione e all´istituzione su di esse di parchi nazionali o di riserve naturali statali (e, quindi, all´istituzione di un regime vincolistico, consistente nell´adozione di "misure di conservazione", su altri tipi di aree protette di rilievo internazionale) spettano allo Stato, qualunque sia l´ubicazione dell´area da proteggere».

Insomma, dice la Consulta nelle 53 pagine della sentenza che non lasciano scampo a richieste di realizzazione di aree nazionali protette in maniera autarchica e referendum locali per abolirle o modificarle a misura di strampalate proposte: «La designazione di quella particolare area protetta che è stata classificata come zona speciale di conservazione non può essere effettuata unilateralmente dalla giunta provinciale, ma deve essere effettuata dallo stato d´intesa con la provincia autonoma. Se ne deve dedurre che i commi 2 e 3 dell´art. 9 della legge provinciale n. 10 del 2004 sono costituzionalmente illegittimi».

Già nel 2006 la Consulta in materia di ambiente sottolineava nella sentenza n. 246 che «una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia tutela dell´ambiente, se certamente comporta il potere dello stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell´esercizio della potestà concorrente di cui all´art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella "residuale" di cui all´art. 117, quarto comma, possano assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale».

Quindi non si possono ridurre nemmeno i livelli di protezione se non con un accordo stretto tra Stato ed enti locali interessati all’istituzione di un’area protetta che comunque non devono scostarsi dai criteri generali previsti dalle leggi vigenti e dalle norme europee. «Occorre inoltre precisare – dice la Corte Costituzionale - in relazione a tale argomento, che le norme statali di cui si discute sono norme di attuazione di direttive comunitarie, che la Provincia autonoma è tenuta ad osservare».

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