[19/11/2007] Monitor di Enrico Falqui

Firenze: verso il referendum (1)

FIRENZE. Quando Firenze divenne capitale d’Italia, era ancora una città dell’ultimo ‘500, nella quale il suo tessuto urbano era giunto sostanzialmente indenne fino all’entrata della Toscana nel regno d’Italia.
Circondata dalle mura, con i punti focali nella cupola e negli altri edifici monumentali, Firenze era caratterizzata da un secolare equilibrio tra parti costruite e parti occupate da spiazzi.
Nel 1865, ci racconta Giorgio Spini, «…Firenze era una città con grovigli di vicoli fetidi e senza verde pubblico, senza arterie capaci di recepire una circolazione di veicoli di dimensioni moderne, con servizi quanto mai scadenti a cominciare dall’acqua corrente…Dentro il suo vecchio e consunto abito urbanistico Firenze stava scoppiando letteralmente».

L’investitura a Capitale d’ Italia, avvenuta nel 1865 e durata fino al 1870, rappresentò, per gli abitanti di Firenze, un duro ma necessario confronto sul «mutamento di ruolo» della città. Le decisioni da prendere per cambiare radicalmente l’organizzazione urbana di una città che si apprestava a divenire “Capitale” furono vissute come un trauma profondo per tutti i fiorentini.

Dopo la partenza del Granduca lorenese, ci dice ancora Giorgio Spini nel suo saggio su Firenze, «…la città campava sul fatto che era divenuta residenza di grandi agrari, che vi spendevano i redditi non trascurabili delle loro proprietà terriere e stava acquistando una dimensione di centro direzionale di banche e società anonime…ma un’economia fiorentina adeguata ai tempi moderni era tutta da inventare».

Insomma, il patriziato agrario fiorentino, padrone ottocentesco della città, era ben a conoscenza del drammatico ritardo di cui soffriva l’organizzazione urbana di Firenze ma non riusciva a interpretare quale nuovo ruolo essa potesse interpretare se non quella «…della città museo, residenza di ricchi signori stranieri e meta di turisti attratti dalle sue bellezze artistiche».
«A che pro cambiare Firenze», si diceva nei salotti fiorentini, se al gabinetto Viessieux si legge The Times e l’Allgemeine Zeitung, se Dickens celebra le strade «magnificamente scure e cupe» di Firenze, se Dumas definisce Firenze «etrusca e ciclopica», se Viollet-le-Duc raccoglie uno straordinario inventario di spazi urbani e monumentali che faranno conoscere Firenze in Francia e in tutta Europa?

Il “Piano di ampliamento” della città venne affidato all’architetto Giuseppe Poggi, dopo lunghe controversie e discussioni infinite tra i fiorentini ( come ci dicono i cronisti dell’epoca ), in un clima di urgenza e di confusione politica , il 18 febbraio 1865.
Il Piano del Poggi è divenuto per Firenze un “simbolo” dell’unico grande mutamento di “ruolo” che la città ha avuto, da allora fino ad oggi ( ad eccezione dei mutamenti introdotti all’organizzazione delle funzioni urbane della città dal Piano Detti del 1962).
Quali erano gli obiettivi di questo Piano che cambiò il “ruolo” della città e le permise di confrontarsi con le altre capitali europee dell’epoca?

L’abbattimento delle mura permise la realizzazione dei cosiddetti Viali di Circonvallazione, un anello di boulevard ( ispirati a quelli realizzati a Parigi) che circonda ancora oggi il centro della città, la cui principale ed originaria funzione era quella di saldare il tessuto urbano del centro con i nuovi Quartieri semicentrali che il Piano del Poggi fece sorgere (Piagentina, Savonarola, S.Jacopino, Pignone).
L’idea alla base di questa operazione urbanistica era quella di creare nuovi insediamenti, ispirati a criteri moderni dell’architettura della città, che non avevano agganci con la tradizione dell’abitare fiorentino ma che creavano un’identità urbana moderna. L’identità nuova della città era anche celebrata da un’atmosfera di decoro urbano borghese, realizzata attraverso l’edificazione di numerosi villini di modeste dimensioni che si affacciano sui Viali di circonvallazione e, superati i ponti sull’Arno ,da residenze alto-borghesi localizzate in modo sparso come affaccio sul Viale dei Colli, anello di comunicazione creato dal Poggi per completare l’accessibilità “moderna” della città-capitale.

Gran parte del Piano del Poggi (l’altra parte fu quella destinata a risanare il Centro Storico mediante lo sventramento del Mercato vecchio e del Ghetto ebraico) fu destinato ad uno spostamento dei pesi urbanistici e delle gerarchie di importanza tra vecchi e nuovi luoghi della città.
Se osserviamo Firenze di oggi, attraverso questa rilettura del piano del Poggi, ci accorgiamo non solo che le similitudini e i nessi sono assai più numerosi e ricchi di quel che si pensi, ma anche che Firenze si trova oggi di fronte alla necessità di mutare” nuovamente il suo ruolo, pena il suo declino.
Se una critica si deve fare a chi governa questa città è proprio il fatto di non essere riusciti a comunicare ai suoi abitanti la portata storica e strategica che la città di Dante si trova oggi a dover affrontare.

Anche oggi Firenze sta spostando i pesi urbanistici verso “nuovi Quartieri”( Novoli, Castello, Le Piagge, S. Bartolo, Rovezzano, Sorgane, Galluzzo) e sta cercando di connettere i “nuovi luoghi” della città metropolitana con le aree centrali della città( non solo il Centro Storico), sotto la pressione di una moltitudine di persone che quotidianamente “vive e produce “ in essa, entra ed esce dalla città e satura totalmente le antiche vie di accesso che, al tempo del Poggi, furono riorganizzate per farla divenire idonea a svolgere il ruolo di città-Capitale. Una città di 340.000 abitanti iscritti all’anagrafe è quotidianamente vissuta ed usata da una popolazione pari a più del doppio dei suoi abitanti. Questa popolazione pendolare proviene sia dai nuovi quartieri periferici della città metropolitana, sia dalla conurbazione metropolitana che, seguendo il corso di pianura dell’Arno, si estende ormai dal Valdarno fiorentino, all’Empolese , alla piana di Prato , fino a lambire i margini di Pistoia.
Firenze è oggi paragonabile ad un organismo umano nel quale si sono occluse pressoché tutte le vene e le arterie e che rischia di soffocare proprio perché il sangue non riesce più ad affluire dal cuore al cervello, impedendole di scoprire il nuovo “ruolo” che deve assumere, a 150 anni dalla realizzazione di quel Piano Poggi che la introdusse nel sistema moderno delle città europee.
Poco prima della sua morte, il poeta fiorentino Mario Luzi ne ricordò ai suoi concittadini il vero significato: «… vi è a Firenze quell’enorme riserva di possibilità che viene dalla stretta connessione tra l’idea formale suprema e la selvaggia presenza della natura. Questa connessione esercita il suo potere in entrambi i sensi: è vitale e liberatoria».

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