[26/11/2007] Rifiuti

Urbanistica e nuovo Codice del paesaggio, il risiko delle riforme

Il terzo Codice dei beni culturali e della tutela del paesaggio sarà presto in consiglio dei Ministri. Con modifiche sostanziali rispetto al precedente Codice Urbani, soprattutto per quanto attiene al paesaggio. Il nuovo Codice Rutelli - come del resto più volte annunciato dallo stesso ministro - prevede infatti che in tema di tutela di paesaggio l’ultima parola spetti alle soprintendenze e quindi allo stato, dal momento che ne sono una diretta emanazione. Non più quindi un ruolo specifico delle regioni, ma condiviso tra queste e lo stato: i piani paesaggistici saranno infatti obbligatoriamente elaborati assieme e non discrezionalmente come si prevedeva in precedenza. E per quanto riguarda le autorizzazione che hanno a che vedere con il paesaggio, che prima prevedevano il parere vincolante della soprintendenza solo nel caso che le regioni avessero delegato tale compito ai comuni, adesso sarà sempre vincolante.

Le regioni hanno già espresso il proprio malumore, inviando al ministero le osservazioni in merito, ma a quanto parere con esito non proprio positivo. La resistenza da parte del ministero deriverebbe anche da una recente sentenza della Corte costituzionale proprio in materia di competenze tra regioni e Stato in materia paesaggistica, che attribuisce a quest’ultimo l’esclusiva.
La modifica del codice paesaggistico si inserisce tra l’altro in un momento in cui si discute e sono stati presentati in parlamento disegni di legge che riguardano il governo del territorio. Sarebbe allora interessante capire come si integrano fra di loro e se lo spirito riformatore della pianificazione territoriale è in accordo o meno con quello utilizzato per modificare il codice sul paesaggio.
Lo abbiamo chiesto a Edoardo Zanchini, responsabile nazionale per il territorio di Legambiente.

In che rapporto sta la riforma del governo del territorio con il codice paesaggistico che stanno modificando?
«Non hanno nulla a che vedere, perché c’è una differenza di fondo nel quadro dei poteri: la tutela del paesaggio è assoluta competenza dello Stato, mentre per l’urbanistica c’è stato un trasferimento di fatto in capo alla Regioni, e lo stato si è mantenuto solo alcuni aspetti legati ad esempio alla finanza e all’ambiente».

In questo nuovo Codice Rutelli si centralizzano molto i poteri sulla tutela del paesaggio, e le Regioni hanno già espresso un parere negativo su questo, lei cosa ne pensa?
«Io credo che il ruolo debba essere gestito assieme tra Regioni e Stato e questa è la richiesta che avevamo fatto a Settis, che guida la commissione ministeriale incaricata di riformare il Codice Urbani. Nel senso che sino ad ora il sistema introdotto con la Galasso e con i Piani paesistici delle regioni non ha funzionato. I pochi piani paesaggistici redatti dalle regioni erano o troppo generici e quindi inutili per dare un indirizzo ai Comuni che dovevano esprimere il parere laddove si delega a loro il compito o lasciavano discrezionalità assoluta alle regioni, ovvero allo stesso ente che doveva gestire le domande. Le soprintendenze avevano la possibilità di esprimere un parere con un ruolo di controllo discrezionale, che interveniva però solo successivamente. Un sistema senza dialogo che ha non ha funzionato».

In Toscana il ruolo di tutela del paesaggio è stato delegato ai Comuni, che però gestiscono anche la questione urbanistica, tema che è al centro anche di numerose polemiche che hanno acceso il dibattito negli ultimi mesi. Quindi c’è un intreccio tra tutela del paesaggio e governo del territorio?
«La Toscana non voleva fare un vero piano paesaggistico e ha trasferito alle province e ai comuni le competenze. Oltre alla Toscana sono anche altre le regioni che hanno delegato il parere sul paesaggio ai comuni e in effetti è qui il cuore della questione: perché non si può riunificare la gestione della parte paesaggistica e di quella urbanistica nello stesso soggetto che oltretutto prende gran parte dei suoi finanziamenti dagli oneri di urbanizzazione. E spesso senza piani o indicazioni di tutela. E’ abbastanza evidente che in queste situazioni la pressione immobiliare possa avere la meglio sugli obiettivi di tutela. La subdelega ai comuni può valere solo se il piano paesaggistico viene fatto assieme da Regioni e ministero, così da dare elementi chiari entro i quali i comuni potranno poi esprimere il proprio parere, altrimenti la discrezionalità per i comuni diventa troppo preponderante».

Proprio oggi l’inchiesta realizzata dal Sole 24ore, evidenzia che gli oneri di urbanizzazione e i contributi ai costi di realizzazione edilizia, rappresentano per i comuni un gruzzolo di ben 3 miliardi di euro l’anno: un tesoro cui difficilmente vorranno fare a meno, ma le Regioni perché dovrebbero opporsi alla pianificazione sul paesaggio assieme allo Stato?
«Le regioni non si vogliono occupare di questa materia, perché dovrebbero esprimersi su quale debba essere la vocazione del territorio regionale amministrato e dare indicazioni specifiche cui i Comuni dovrebbero attenersi. Cosa che i comuni non vogliono e spesso esiste un tacito accordo tra i due livelli istituzionali».

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