[26/11/2007] Monitor di Enrico Falqui

Firenze, verso il referendum sulla tramvia (2)

FIRENZE. Negli anni compresi tra le due guerre mondiali, a Firenze viene assegnato un ruolo affascinante ma non privo di rischi : quello di essere centro culturale ed artistico di rilevanza nazionale e di esprimere un ruolo di “messaggero dell’italianità”, in quanto patria di Dante, Petrarca e Boccaccio e culla di un Rinascimento colto in chiave nazionalistica.
Si profilano, per Firenze, i lineamenti di quel nuovo profilo urbano, tipico della cultura territoriale contemporanea, che viene definito oggi come “città d’arte”. Una città nella quale la “densità” dei valori storici, culturali ed artistici presenti nel suo tessuto urbano, viene percepita dai suoi abitanti e dai visitatori come dato essenziale e caratterizzante.

Nel 1924, attraverso il Piano urbanistico del Bellincioni, Firenze vara un processo di espansione che raggiunge pressoché le attuali dimensioni della città. Firenze accoglieva allora una popolazione di circa 260.000 abitanti, più del doppio di quella che possedeva nel 1861. L’espansione urbana raggiunge le zone di Brozzi, Peretola, di Galluzzo, S.Felice a Ema, del Bandino e Badia aRipoli, di Castello, le Panche e Lippi,di S.Bartolo a Cintola, Marignolle, Ugnano e Mantignano.
E’ attraverso questo Piano che Firenze cambia la sua forma e acquista una dimensione compatta che si aggiunge alla “città ideale” del Rinascimento, che Brunelleschi elogiava come mirabile espressione delle Arti.
La mobilità viene assicurata da una rete tramviaria, assai moderna ed efficiente per l’epoca, costituita da 25 linee funzionali sulle quali viaggiava un parco veicoli di circa 200 unità.

Firenze diviene, in questo periodo, sotterraneamente pronta ad un deciso sfruttamento utilitaristico e commerciale (una rendita di posizione artistico-culturale che dura fino ai nostri giorni ), ma il codice genetico della città resta debole, sospesa a metà tra la città-capitale simmetrica e la città diffusa, che si espande a macchia d’olio nella piana rurale.
L’esempio più evidente di questa scelta “incompiuta” è rappresentato dalla mancanza di un anello completo intorno alla città che i Viali di circonvallazione del Poggi non riescono a sostituire quando, per effetto del boom automobilistico degli anni 60, cominciano a manifestarsi quei problemi di strozzature del traffico che, oggi, hanno reso invivibili molti quartieri della città. Le belle strade che escono da Firenze in salita, Via Bolognese, Via Senese, o in fondovalle, Via Faentina debbono ancora oggi sopportare un traffico pesante e spesso ingovernabile.
Ancora agli inizi degli anni 60 i ponti più esterni di Firenze, erano Ponte S.Niccolò ePonte della Vittoria, in corrispondenza delle antiche mura e delle antiche porte della città.

Sono esempi significativi che spiegano come la “cultura urbana” di governo fosse ancora legata all’idea che la “vera” Firenze era costituita da quella storica e che le periferie rappresentavano ancora una dimensione “estranea” al cuore dell’organismo urbano.

E’ proprio in quel periodo (1962) che viene varato il nuovo Piano regolatore della città e il suo ideatore, Edoardo Detti, ha l’ambizione di fissare un nuovo codice genetico della città. In particolare Detti si rende conto che la città doveva essere pensata in rapporto alle scelte nazionali ed internazionali che erano mutate in modo rapido e impressionante in quel periodo , ricordato oggi come il momento magico del “boom economico” italiano. La nascita delle nuove grandi reti di comunicazione ( autostrade, ferrovie, vie aeree e marittime) andavano collocando Firenze in un ruolo di polo urbano intermedio e subordinato, a livello nazionale, ma anche di città capitale di Regione.

Il Piano Detti vuole trasformare l’idea obsoleta di Firenze come “motore immobile” verso cui centripeticamente convergono flussi e valori socio-economici del territorio stesso; Detti vuole soprattutto rovesciare l’ideologia urbana di Firenze, secondo la quale la “ città murata” è egemone sul suo territorio periferico.
La divaricazione sempre più accentuata tra città e territorio gravitazionale è infatti il segnale che il codice impostato alla fine dell’Ottocento e , poi progressivamente aggiornato fino agli anni 60, è definitivamente decaduto.

La prova più evidente di questa divaricazione è costituita proprio dal sistema di mobilità urbana che si struttura, in questi anni, come un sistema radiale, dal centro alla periferia, e, come la periferia si allontanava in conseguenza della crescita dell’espansione urbana, i raggi si facevano più lunghi e distanti tra di loro, lasciando zone e quartieri nuovi non serviti. Il Piano Detti non riesce a rompere il carattere centripeto del sistema di mobilità urbana che si struttura in 19 linee radiali più 7 diametrali ( cui successivamente si aggiungono 7 linee tangenziali, che non passano per il centro) per un totale di 33 raggi che si addensano e si infittiscono verso il centro della città.
La soluzione radicale proposta da Detti di realizzare un Asse attrezzato che colmasse l’incompiuta via di comunicazione tra centro e periferie, evitando la sovrapposizione con il traffico urbano, non si realizzò proprio per le accanite resistenze del club di interessi trasversali legati alla rendita di posizione dell’area centrale della città.

Il Piano Detti accende un litigioso e accanito dibattito, nell’opinione pubblica fiorentina, che contrappone erroneamente il ruolo di Firenze, come città d’arte a quello “nuovo” di città capitale di Regione, senza capire che entrambi i ruoli non possono non essere accettati, come Detti cercò, invano, di spiegare e di realizzare:”..il ruolo di città d’arte è a un tempo fondamentale per Firenze, ma non ne esaurisce certamente tutte le virtualità”.
La prospettiva di un centro storico della città d’arte che sviluppi esclusivamente attività di carattere economico-turistico conteneva il rischio di un impoverimento strutturale di questo tipo di città, e Detti ne avvertiva il rischio”… di uno snaturamento della città che può trasformarsi in un contenitore dalla vitalità ridotta”.

Insomma, un Piano Regolatore (pensato negli anni 50 e approvato nel 1962), scaturito da una cultura urbanistica tra le più avanzate in Europa, viene solo parzialmente realizzato in ciò che riguarda i progetti di espansione urbana nell’area di nord-ovest di Firenze, mentre tutto ciò che modifica il “ruolo” di Firenze viene progressivamente cancellato o ignorato. Di qui nasce quella “malaria urbana” di cui Firenze oggi soffre e su cui, ancora una volta nella sua storia, come vedremo, gli abitanti di Firenze saranno chiamati a decidere: o cambiamento o declino.

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