[05/12/2007] Energia

Il ministero dell´ambiente spinge sul solare termodinamico a concentrazione

LIVORNO. Calabria, Lazio e Puglia sono le prime regioni a sottoscrivere i protocolli d’intesa con il Ministero dell’Ambiente con l’obiettivo di dare il via ad un vero e proprio piano per la diffusione del solare termodinamico a concentrazione in Italia. Una task force creata dal ministero che presentando l’iniziativa ha elencato i tanti benefici legati alla realizzazione di questi protocolli d’intesa: la riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili e la conseguente riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra; la diffusione di un modello di sviluppo locale integrato e coerente con le strategie di sviluppo sostenibile e la promozione delle energie rinnovabili; la realizzazione di interventi per uno sviluppo socio-economico delle aree interessate che abbiano come obiettivo la valorizzazione della risorsa sole ed il rispetto stringente dei criteri di sostenibilità ambientale.

Attraverso questi accordi, inoltre, si vuole rendere più semplice e rapido l’accesso alle nuove tecnologie per le realtà produttive, affermando così la piena compatibilità fra crescita economica e rispetto dell’ambiente. Ma che cosa è – qualcuno si domanderà - il solare termodinamico a concentrazione? Qual è la differenza con il fotovoltaico o il solare ‘tradizionale’?

La tecnologia attualmente più diffusa per la produzione di energia elettrica da solare termodinamico utilizza dei collettori parabolici lineari. Da circa 20 anni sono in esercizio nove grandi impianti termoelettrici solari di questo tipo in California, nel deserto del Mojave. Si tratta di Kramer Junction (SEGS, Solar Electric Generating Systems) per una potenza elettrica complessiva di oltre 350 MW. Nella primavera del 2007, sempre negli Stati Uniti è entrata in esercizio la prima centrale americana di nuova generazione. Nevada Solar One per una potenza di capacità installata di 64MWh. In Europa, è la Spagna ad avere avviato a partire dal 2004 un vigoroso programma industriale per la realizzazione di una trentina di centrali della potenza complessiva di circa 1300 MWh, di cui la grande maggioranza prevede la tecnologia degli specchi parabolici lineari.

In questi impianti, il campo solare ha una struttura modulare ed è costituito appunto da collettori parabolici lineari collegati in serie. Ogni collettore è di fatto costituito da un riflettore di forma parabolica, un semplice specchio di vetro, in grado di concentrare i raggi solari su un tubo ricevitore nel fuoco della parabola. Tramite un fluido portatore di calore, che circola nei tubi ricevitori, viene alimentata una stazione di potenza che si trova all’interno del campo solare. Il calore così prodotto viene trasformato in vapore acqueo allo scopo di generare elettricità. La temperatura tipica di operazione varia dai 390 °C ai 550°C a seconda del tipo e delle dimensioni degli impianti. Le tecnologie più avanzate presentano una serie di innovazioni che permettono innanzitutto di accumulare il calore così prodotto e renderlo disponibile quando richiesto dall’utente, eliminando la variabilità intrinseca della sorgente solare tradizionale. Altre importanti innovazioni sono l’aumento dell’efficienza di produzione elettrica e la progressiva riduzione dei costi con l’obiettivo di rendere questa tecnologia competitiva con i combustibili fossili nell’arco di un periodo di una decina di anni.

Le potenzialità del solare a concentrazione potrebbero aumentare considerevolmente se l´energia elettrica prodotta in Paesi a forte insolazione fosse esportata a regioni con maggiore domanda e minore insolazione. Come è noto, in gran parte dei Paesi europei, le società di distribuzione sono tenute alla fornitura di energia elettrica tramite. un contributo proveniente da fonti rinnovabili. Una frazione considerevole di tale energia verde potrebbe essere soddisfatta con il CSP, installato ad esempio nelle zone desertiche del Sahara, caratterizzate sia da una favorevole esposizione alla radiazione solare sia da un´escursione stagionale molto ridotta. L´energia elettrica prodotta nel Nord Africa potrebbe essere trasferita alla rete elettrica europea per mezzo di linee di trasmissione in corrente continua ad alta tensione, tecnologia già disponibile e con costi accettabili.

Il solare termodinamico, quindi, ha bisogno di una buona disponibilità di territorio e non va confuso con il solare termico, che serve principalmente per la produzione di acqua calda, per l´integrazione al riscaldamento degli ambienti e anche per il raffrescamento. Proprio in questi giorni se ne è discusso a livelllo Ue dove è stato sottolineato il fatto che – dicono le agenzie – “deve passare dagli impianti di piccole dimensioni, utilizzati per singole abitazioni, a quelli di grossa taglia in grado di fornire energia solare termica a unità come alberghi, caserme, case di riposo, condomini, fabbriche”.

Questa novità è emersa nella discussione del progetto finanziato dalla Commissione europea il ´´Solarge´´, al quale hanno partecipato con un centinaio di progetti undici partner di sette paesi membri e tra questi anche l´Italia con l´Istituto privato di ricerca Ambiente Italia. Nel corso di una conferenza organizzata a Bruxelles si sono tirate le somme delle esperienze fatte. I risultati di questa prima esperienza, finalizzata ad aprire il mercato ai grandi sistemi solari termici a quelli, cioè, con collettori a partire da 30 m2, sono stati talmente incoraggianti che già si pensa al lancio di un Solarge 2, annunciato alla conferenza. Dalle esperienze fatte nei tre anni del progetto è apparsa chiara la possibilità di utilizzare il solare termico di grandi dimensioni, più interessante sotto il profilo costo efficacia dei piccoli, in svariati campi.

Ma siamo sicuri che sia veramente questa la strada migliore da seguire senza se e senza ma? Come abbiamo già osservato in passato, i grandi impianti – anche di energia rinnovabile – rischiamo di replicare un modello, quello appunto dei grandi impianti elettrici tradizionali, ormai da anni ‘50 e ‘60. Questo non significa che in assoluto non si debbano fare grandi impianti fotovoltaici o come in questo caso di solare termico, oppure di solare termodinamico (che non si può fare di piccole dimensioni) ma su un territorio come quello italiano le perplessità restano molte. Grandi impianti significa consumo del territorio, significa più difficoltà nel trovare aree adeguate, maggiore investimenti e anche maggiori conflitti locali.

In ogni situazione quindi bisognerà valutare quale sia l’impianto che meglio vi si addice. Certo, per chi investe un grande impianto dovrebbe essere una maggiore garanzia di ritorno economico, ma non è detto che questo sia anche sinonimo di sostenibilità ambientale.

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