[11/01/2006] Acqua

Il pratino all’inglese, manuale dello spreco d’acqua

LIVORNO. Caviale, aragosta ed un bel pratino all’inglese in giardino. Facciamo vedere che siamo ricchi anche noi.

«E scoprire che va sempre a finire che pioveee…», come aveva preannunciato Enzo Jannacci.

Eh sì, perché la pesca dello storione è stata sospesa ed allora le uova sono di lompo, triste succedaneo, rosso o nero, ma sempre da discount.

E le aragoste le allevano nei laghetti costieri dell’Indonesia, con 2 decimetri cubi di acqua a testa e per la loro sopravvivenza devono buttare gli antibiotici con la pala.

Anche il pratino all’inglese non va benissimo. Arriva la gramigna e dopo un paio di anni ha il suo bel giallo estivo e sembra la vittima di un Cesare Ragazzi impazzito.

Ma intanto ha consumato tonnellate di acqua.

Sì, perché il pratino si chiama all’inglese non perché è snob, ma perché è adatto ai terreni sciolti, che hanno falde idriche superficiali a pochi decimetri di profondità. Qui, nei nostri terreni argillosi e calcarei, secchi e duri in superficie, il pratino muore. All’inglese, senza clamore, ma muore. Nonostante gli irrigatori accesi di notte, quando anche i vigili dormono e le ordinanze sindacali fanno loro da guanciale.

Ed anche Jannacci si sbaglia, perché piove sempre meno e quell’acqua inutilmente trasfusa dalle condotte pubbliche al pratino agonizzante costa più di una cura e non impedirà di dover zappare tutto il pratino di nuovo, concimarlo, seminarlo con una varietà «garantita» ed iniziare di nuovo ad affogarlo di acqua.

Intanto i ricchi veri, quelli che lo sono almeno di buon gusto, scovano le sarde a beccafico nella trattoria di slow food ed il giardino lo fanno con le essenze mediterranee, che gli inglesi tanto ci invidiano.

Ecco, basterebbe una crescita di cultura e di gusto per eliminare una delle maggiori fonti di costo e di spreco dell’acqua potabile e cioè il mantenimento di un arredo urbano pubblico e privato che è assurdo, pacchiano ed anche francamente brutto. Non a caso il maggior botanico e progettista di giardini che abbiamo avuto il Italia, Ippolito Pizzetti, si è battuto una vita per far crescere la cultura del bello anche in questo settore.

Il giardino mediterraneo, le essenze aromatiche, le piante autoctone, le pietre. Ma anche il gusto e l’intelligenza di un grande italiano, di un creatore di paesaggi la cui opera purtroppo non riesce ancora a fare breccia nella cultura nazionale.

Ma perché le amministrazioni pubbliche non svolgono anche in questo settore un’opera culturale ed insieme ambientale ed economica, arredando gli spazi pubblici in modo corretto, che sia esempio e riflessione e costituisca cultura vera, quella praticata poi dai cittadini?

Eppure sarebbe compito, anche culturale, della mano pubblica quello di stimolare al bello. L’Italia è la cassaforte dell’arte e del bello perché le commesse pubbliche nel corso dei secoli hanno costruito paesaggi straordinari. E non costerebbe neppure di più costruire un giardino semi-arido rispetto ad un giardino nordico nel paese del sole, anzi avrebbe costi di manutenzione minori e soprattutto eviterebbe consumi impropri ed inutili di acqua.

Ma il pratino è più facile. Lo fanno tutti.

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