[13/12/2007] Trasporti

Tir, finito il blocco: tutto bene ora? No

ROMA. Dunque l’incubo è finito e il paese esce dall’assedio dei camionisti. Tutto bene? No. Che il potere di condizionamento e di ricatto dei camionisti fosse elevato è risaputo, visto che il copione di questi giorni si è ripetuto svariate volte, più o meno ad ogni aumento del prezzo del petrolio o dei pedaggi autostradali. Dunque si sapeva che la categoria era in grado di mettere in ginocchio il paese, come lo fu in Cile durante il governo Allende, con una serrata che finì per aprire le porte alla dittatura di Pinochet. Sarebbe sbagliato attribuire la responsabilità di questo stato di cose ai camionisti, che svolgono un lavoro durissimo e pericoloso che, ben volentieri, cambierebbero se gliene fosse offerta l’opportunità.

La “colpa” di questa situazione è di chi ha governato e governa l’Italia che ha permesso una mobilità quasi esclusivamente su gomma, per persone e cose. Anche il duro corporativismo che caratterizza il modo di agire dei camionisti dipende essenzialmente da questo errore iniziale. Una assurdità economica ed ambientale, diffusa in quasi tutti i paesi del mondo, ma non come in Italia, dove oltre l’80% delle merci viaggia sui camion e dove tutte le volte che si parla del deficit infrastrutturale del paese, si intende quasi sempre la mancanza di strade ed autostrade. La peculiarità italiana si spiega facilmente ricordando il peso esorbitante che la Fiat ha avuto nel cosiddetto miracolo economico italiano.

Che fare? Non conosco su cosa si è sbloccata la trattativa ma sarebbe un errore se il governo si fosse semplicemente piegato alle due rivendicazioni fondamentali dei camionisti: riduzione del prezzo del gasolio e dei pedaggi autostradali. Sul tavolo della trattativa andavano messi gli obiettivi, graduali ma certi, con cui questo esecutivo pensa di fare uscire il paese dalla sua monomodalità. Sarebbe un tragico errore non farlo. La situazione e i forti disagi di questi giorni si ripresenteranno nuovamente e forse molto presto, visto che il prezzo del petrolio è destinato a crescere perché la risorsa sta finendo o meglio non ce n’è a sufficienza per coprire una domanda in costante espansione. Un errore ancora più grave perché, non solo lascia il paese esposto al ricatto dei camionisti, ma finisce per rendere contemporaneamente impraticabili le necessarie misure per contenere le emissioni climalteranti del settore trasporti.

In poche parole qualsiasi sia il compromesso che il governo ha realizzato con i camionisti, per renderlo credibile a chi ha subito disagi e persino la cassa integrazione, cioè la grande maggioranza del paese, è necessario che l’esecutivo dica con chiarezza gli impegni che intende contemporaneamente prendere, da qui alla fine legislatura, su quante merci riuscirà a trasferire su ferro e su nave, con quali misure legislative e fiscali pensa di poterlo fare. La legge finanziaria approvata al senato non va in questa direzione e soprattutto non ci va il piano di opere presentato dal Ministro Di Pietro. Modificare la prima e riscrivere il secondo sarebbe un segnale importante per il futuro del paese che renderebbe per il futuro anche più debole il ricatto corporativo dei camionisti.

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