[13/12/2007] Comunicati

Tra percezione e realtà: rileggiamo il Rapporto Istat 2007

LIVORNO. Dicembre è periodo di rapporti. Qualche giorno fa, quello annuale del Censis ha descritto la situazione sociale del paese come una “poltiglia”, e indicata «una realtà sociale che inclina pericolosamente verso una progressiva esperienza del peggio». Analisi cui corrisponde in maniera piuttosto calzante l’immagine che esce dal rapporto “Gli italiani e lo stato”, condotto da Demos per il quotidiano La Repubblica. Un popolo affetto da sfiducia: verso le istituzioni, verso la scuola, verso il prossimo. Anche per questo instabile, senza coesione e senza punti di riferimento cui affidarsi. Una popolazione che sembrerebbe poco capace di futuro. Che per dirla con le parole di Ilvo Diamanti «non evoca pessimismo. Ma eclissi di futuro. Incapacità di pensare e di guardare oltre il presente».

Una terribile immagine di declino, che descrive, però, forse più un livello di percezione diffuso che non un dato di realtà oggettiva e che non si riflette in alcuni dati che emergono invece da un altro storico rapporto, quello annuale dell’Istat. Nel capitolo relativo alla popolazione dell’annuale 2007 dell’Istat si evidenzia, infatti, un dato che sembra contraddire la mancanza di speranza nel futuro degli italiani: quello relativo all’incremento delle nascite. Nel 2006 la stima del numero medio di figli per donna (e nel rapporto sembra che si riferisca a donne italiane e non immigrate) è pari a 1,35. Il livello più alto registrato in Italia negli ultimi anni, risultato di un trend costantemente crescente che si è venuto a registrare a partire dal 1995, anno in cui la fecondità italiana aveva toccato il minimo con un valore di 1,19 figli per donna.

Ma ci sono anche altri dati che farebbero pensare che vi è una forte differenza tra ciò che viene avvertito e ciò che rappresenta la realtà oggettiva. Se si prendono ad esempio i dati riguardo alla sensazione dello stato di salute, si nota che c’è una sostanziale discrepanza tra ciò che viene percepito e ciò che indicano invece i numeri. La quota di persone che nonostante si dichiarino affette da almeno una patologia cronica si percepiscono in buona salute risulta pari al 47,5 per cento, in aumento rispetto agli ultimi due anni. Nel 2007 infatti il 73,3% della popolazione residente in Italia valuta buono il proprio stato di salute, con differenze di genere a svantaggio delle donne (70,2% contro 76,6% degli uomini).

Ma allo stesso tempo il 38,4% dei residenti in Italia dichiara di essere affetto da almeno una tra le principali patologie croniche e quelle maggiormente riferite sono l’artrosi/artrite (19,4%), l’ipertensione (15,3%), le malattie allergiche (9,9%) e l’osteoporosi (7,4%). Se si analizzano poi anche i quozienti relativi al numero dei decessi e alle cause che li hanno determinati su 100mila abitanti, al primo posto si trovano le malattie cardiocircolatorie, pari a 415 ; al secondo posto si collocano i tumori (il 29,2 per cento del totale dei decessi) con quozienti per 100 mila abitanti pari a 337,5 per i maschi e 236,3 per le femmine e al terzo posto si trovano le morti per malattie dell’apparato respiratorio, i cui quozienti hanno un valore pari a 62,9 per 100 mila per la popolazione totale.

Ovvero sia tra le patologie croniche, sia tre le principali cause di decesso, si ritrovano tutte quelle che vengono comunemente messe in relazione alle criticità ambientali: inquinamento urbano e industriale. Che rappresentano anche le principali preoccupazioni che sembrano affliggere gli italiani. Il traffico (46,7 per cento); l’inquinamento dell’aria (43,6 per cento); la difficoltà di parcheggio (41,4 per cento); il rumore (36,8 per cento), seguite dal non fidarsi a bere acqua dal rubinetto (35,4 per cento) dal rischio di criminalità (34,6 per cento) e dalla sporcizia nelle strade (34,1 per cento). Quindi la percezione del proprio stato di salute non riflette né il reale stato di salute né le preoccupazioni principali che potrebbero minacciarlo.

Riguardo alle preoccupazioni, minore rilevanza è poi data alle difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici (30,5 per cento), che vengono utilizzati, nel circuito urbano da nemmeno un quarto della popolazione: il 24,4%, quelli extraurbani dal 16,6% mentre solo il 29,9% ha preso almeno una volta il treno per spostarsi. E anche in questo caso le preoccupazioni rappresentate, relative alla presenza di traffico urbano non si riflettono poi minimamente in azioni tali da poterle ridurle. Tra i mezzi di trasporto privato il più utilizzato è infatti ancora l’automobile, anche tra i più giovani: sono 34,2% gli studenti che usano l’auto privata. Un paradosso, che potremo definire, tutto italiano.

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